
Dai mondi al mondo. L’Universo verso l’uno e la poetica del ritorno
di Paolo Pistoletti
Contributo pubblicato su Mondi (Fara Editore 2024) – Incontro a La Verna, settembre 2024. A cura di Alessandro Ramberti
[chi da per sempre
torna chi parte
sono]
Io che poi la strada
prende il mio posto.
Tu che poi io
via alberata
sostituisci me.
Che mi fui affidato
da nessuna pietà celeste.
Che chi ho qui ha di nuovo
male alle foglie, alle case
alle mura.
Che da fuori del temporale
ho già l’aria
di chi non c’è.
Dall’incessante giungo.
A lui ritorno.
Fine pena mai.
Si carica un altro mondo
da qualche altra parte
che non so. Così un altro io
che sarò stato
si sottrae dal mio nome.
Mi manchi all’appello mia dispersione
tra gli innumerevoli.
È l’ora
di non esserti più.
È l’ombra di andarsene.
Del mio tempo
verso dentro
una terra liquida
prima di nascere. Postumi dal cielo
amniotico
tra le acque rotte
mi ritrovo ogni volta
nato come dopo una sbronza
di dèi. Ancora un io vuoto
a perdere
un corpo
da ogni mio corpo come un estratto
da ognuno di me.
Mi succedo
dal mio sé.
Dal non ricordo oramai
di quante vite.
Da Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023)
*
Questo è il movimento cercato, pensato, percepito – l’universo che torna verso l’uno – mediante una poetica del ritorno.
Dalla disgregazione progressiva dell’uno nascono e proliferano i mondi. La loro ipertrofia nell’apparire, nel numero, col peso della materia.
I mondi provengono da un’unità originaria che in progresso di tempo andrà a frantumarsi, a moltiplicarsi nelle forme e nei linguaggi. Il linguaggio universale degli inizi si disperderà, mantenendo però un nucleo celato di vita, nelle varie lingue particolari. Dall’io [uno] al non io (il molteplice dei mondi). Però tutto resta celatamente governato dall’uno, dal retroscena di ciò che appare.
Dalla scissione dell’Uno si ha quindi come una deriva nel contingente, come una caduta progressiva di età.
Dal recente libro di Heinrich Pas, docente di fisica teorica, L’uno – l’idea antica che contiene il futuro della fisica, (Bollati Boringhieri, 2023) riportiamo l’esergo: “Da tutte le cose Uno e da Uno tutte le cose. (Eraclito) – Ridare le ali alla fisica (Friedrich Wilhelm Joseph Schelling). Anche il grande studioso ed ebraista, Giulio Busi,nel suo ultimo libro Uno. Il battito invisibile (il mulino, 2022) – afferma che “L’Uno ci avvolge, pulsa in noi”. Busi compie poi un breve excursus, una sintetica storia delle idee riguardanti l’uno.
Nella teologia veterotestamentaria ed ebraica, l’idea di un Dio unico, di fatto, attua un rovesciamento del politeismo, mentre, più tardi, nella teologia neotestamentaria, vi sarà uno iato assoluto e radicalmente nuovo: la venuta dell’Unigenito dal Logos, dal Padre mediante lo Spirito. Dall’Uno, la pericoresi delle [nelle] tre persone divine, dall’Uno ai Tre e dai Tre all’Uno. Mediante una forza recata dallo Spirito, in un continuo fuoriuscire per poi ritornare – in una continua circolazione di luce-vita.
Con la filosofia greca [Senofane], invece, l’Uno emerge come una panacea contro l’ipertrofia mitologica. “To hen [l’uno] è puro segno, senza volto né colore, e per questo capace di contenere qualsiasi sfaccettatura del reale, e di superarla”. Questa visione verrà poi ripresa anche da Platone, Plotino, Proclo. Mentre il neoplatonismo rinascimentale assumerà, in più, i caratteri di un pensiero magico (Giordano Bruno) – inteso come sintesi delle forze, nell’uomo-cosmo emanato dall’uno.
Ma richiamiamo, in questo contesto, anche il pensiero e il misticismo orientale – per esempio, lo splendido testo della Bhagavad Gita: “Chi vede me in tutte le cose e tutte le cose in me, per costui io non sono smarrito, per me egli non è smarrito” (Bhagavad Gītā VI, 31). Nella via dello smarrimento, l’Uno, di cui percepiamo la presenza, è il veicolo che conduce, quindi, all’unione degli opposti.
Anche la via graalica, presente trasversalmente nella storia di molte letterature, è segnata, nella sua essenza, dalla dinamica del ritorno, dal molteplice all’uno. Dalla coppia originaria, formatasi dalla prima radicale separazione, quindi, tutto poi si muove, grazie a una pulsione interiore, una nostalgia che spinge, inconsapevolmente, sempre al ritorno. Un anelito teso verso il primo stato unificante, poiché l’anima ha natura androginica, in quanto creata dall’amore originario.
Quanto premesso, quindi, può essere compreso più essenzialmente mediante una “poetica del ritorno”. E quindi anche la poesia, nel suo senso più profondo, può essere una modalità di avvicinamento all’Uno, come un moto inverso alla dispersione.
E in ordine a ciò, spesso, mi ritrovo a pensare a quanto sarebbe bello se tutta la poesia fosse davvero e sempre “poesia di ricerca”. Quindi non una ricerca esclusivamente formale, così come oggi, invece, purtroppo, la si intende. Ma una ricerca, continua, di vita. E mi torna alla mente, a questo proposito, l’insegnamento che Eduardo de Filippo rivolgeva ogni volta ai suoi allievi: “Chi cerca la vita trova la forma, chi cerca la forma [invece] trova la morte”. E poi, ancora, l’altissimo monito di Marina Cvetaeva: “Come posso io, poeta, e cioè creatura dell’essenza, farmi lusingare dalla forma? Mi lascerò lusingare dall’essenza, e la forma verrà da sola. E viene. E non dubito che verrà” (da Il poeta e il tempo, p. 44).
Ma il fatto è che la radicalizzazione della ricerca, orientata unicamente alle forme, è mossa proprio da un preciso ed ostinato presupposto ideologico. Quello più radicale e mortifero. Ossia quello che considera l’arte come un fine. Riprendiamo quindi il discorso di Cvetaeva: “Per il poeta solo-buono l’arte è sempre fine a se stessa, cioè una pura funzione senza la quale non può vivere e della quale non deve rispondere. Per il grande poeta e per il poeta sublime l’arte, invece, è sempre un mezzo. […] Quanto più un poeta è grande spiritualmente, cioè quanto più in alto stanno le mani che lo tengono, tanto più forte è la coscienza di essere tenuto (in schiavitù)” (ibidem, p. 93).
In questo senso, quindi, “il bello” deriverebbe proprio dall’agire mediante la propria arte, ogni volta, come con un atto di magia. Tentando di far risorgere le forme [per esempio: i significanti del linguaggio] dalla loro morte – grazie a un rinnovato atto poetico. Orientandosi in primis, quindi, verso la vita. Una strada ogni volta da ripercorrere, poiché tutto va riconquistato, non essendo mai dato una volta per sempre, in noi.
E quindi la poesia [e tutta l’arte in generale] è anche la realtà più prossima alla vera libertà, essendo la più sottile, ossia quella che nella sua dimensione fondante viene originata e procede da una dimensione non visibile. Ed è quindi radicalmente diversa dalle altre realtà umane (economiche, politiche, giuridiche, sociali), in quanto pur essendo, come queste, interfacciata sempre con natura e storia – l’arte, in più, viene alimentata di continuo dalla sua fonte. Dal di qua di ogni parvenza.
Pertanto, nella sua dimensione visibile, la poesia è un polo dinamico che tende, mediante una continua approssimazione, a incarnare la vera libertà. E così, per converso, l’uomo, avvicinandosi [ritornando] al suo fondamento, dinamizza sé stesso con l’arte, percependone sempre più la sostanza, che poi è anche la stessa della sua libertà.
Ma il problema è che questa libertà viene sempre rinnegata, non venendo riconosciuta. E in questo senso, ognuno di noi, quindi, è un “non riconoscente”, ossia uno che non riconosce il vero essere dove stia. Ed è per questo che poi ci si accontenta dei surrogati, delle caricature della vera Libertà.
E nel campo della poesia, tutto questo, risulta emblematico. Infatti da oltre un secolo – soprattutto con lo sviluppo delle discipline linguistiche e della filosofia del linguaggio – è prevalso il primato del segno [del significante], insieme alla precedenza di quest’ultimo su ogni realtà [incluso il pensare]. Secondo questa impostazione, in principio, vi sarebbe il linguaggio e non, quindi, il pensiero [il logos]. Vi sarebbe il pensato e non, quindi, il pensante. Il dato e non il dante causa, il creato e non il creante.
Ma – al di là delle evidenti conseguenze [e aberrazioni] di tale impostazione – bisogna, certo, essere anche grati per gli aiuti provenienti da questi nuovi studi. Infatti è grazie a questi che è stato possibile acquisire tutti gli strumenti necessari per una approfondita analisi testuale. Poiché la lettura deve essere, in primo luogo, semiotica. Deve partire dai testi [dai segni], dall’unico dato che si ha di fronte, all’inizio. Un processo inverso, quindi, rispetto alla scaturigine del tutto, andando dal particolare all’universale. Dai segni al totalmente “altro”.
Ma il problema è che questi segni da “mezzo” sono divenuti “fine” [e “principio”]. Ossia nel linguaggio – e, per estensione, nella scrittura e quindi nella poesia – si è giunti a ritenere risiedesse “ilfondamento”. E il risultato è stato quello di una poesia che si nutre esclusivamente di sé stessa [il primato del metapoetico].
E in più, oggi, secondo un certa impostazione ermeneutica, è considerato anche antistorico essere un poeta lirico [un io]. E questa colpa diviene tanto più imperdonabile quanto più lo stesso poeta lasci trapelare una propria visione metafisica.
Ma nonostante questo pensiero di superficie sembri oggi prevalere, il “mistero” continua a essere, dalle sue profondità, sempre la fonte della vera poesia. E così pure “il sacro” che, anche se impercepito, ci sta sempre di fronte – come un immensamente “altro” che si immerge “nelle vene del linguaggio”, un qualcosa di germinale che fa risorgere l’alfabeto dalla sua morte (Nelly Sachs).
E se la poesia è quello che è – è proprio perché questa creazione, di nascosto, continua. E così la poesia è la continuazione del mondo in noi. La creazione non è mai finita, anzi ricomincia ogni volta. Quindi non è un fine la poesia ma, semmai, è uno [altissimo] strumento umano – per l’umano. Per la nostra incessante ri-creazione, ogni volta dal nulla.
La poetica del ritorno, in questo senso, si rafforza mediante l’arte della concentrazione, della meditazione, della contemplazione. La concentrazione qui va intesa come un tendere di tutto l’essere verso il proprio centro (l’uno), grazie a un incessante movimento da fuori a dentro, e poi di nuovo verso fuori, e poi ancora verso dentro – corroborando così ogni esperienza, ripassando quindi sempre da lì, ogni volta, “per quell’unico punto che conta”.
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da Autori Vari, Mondi, a cura di Alessandro Ramberti (Fara Editore, 2024)
earth – foto di Pete Linforth su pixabay
https://www.faraeditore.it/nefesh/Mondi.html
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Fonte Avellana – il pensiero immaginale, tra meditazione e poesia – il Cipresso Bianco
