OLTRE

Massimo Scaligero – Dell’amore immortale. Prologo

A chi ha suscitato l’essere vivo
di queste pagine. Al nome pronunciato
nel segreto dell’anim
a.

.

Con Massimo Scaligero entriamo in un altro piano di pensiero, seguendo il suo. Lo dico a bassissima voce, e solo per quelli che vorranno. Qui vi è qualcosa di immenso e sacro, di assoluto.

Certo, è vero, non è questo il testo più adatto dal quale partire per seguire la via indicata. Ossia, bisognerebbe, quanto meno, aver praticato prima [per molto tempo] la concentrazione del pensiero [e la meditazione], secondo i canoni indicati proprio dallo stesso Scaligero. Però questo testo ha uno splendore così originario, e poi nel suo prologo, come un richiamo da lontano, lontanissimo – tanto che, per i lettori de Il Cipresso Bianco, ho scelto, tra i 27 libri di Scaligero, di iniziare proprio da questo qui.

                                                                                                  

PREFAZIONE

Questo libro non va letto, né studiato: forse neppure meditato, ove il meditare non sia il muoversi stesso del pensiero nel suo contenuto. Va messo da parte, in attesa che una situazione senza uscita, o una crisi, lo renda veicolo delle forze di risoluzione proiettate nelle imagini e nei pensieri.

Può essere conosciuto anche prima di simili situazioni, ma a condizione che il lettore, per determinazione volitiva, dissuggelli quel che nelle parole è stato racchiuso, tenendo conto che la struttura del discorso, indipendentemente dalla sua necessità dialettica, è stata tratta dall’immediato movimento epperò dalla sonorità delle idee evocate.

La logica di un simile discorso è la forma stessa di ciò da cui deriva il processo logico identificabile dai logici come forma inseparabile dai vari contenuti, compreso quello «spirituale» che non è mai lo spirito.

La possibilità di una simile lettura, perciò, appartiene parimenti al destino come alla volontà che cominci a valere come un potere di destino. Se la virtù delle idee evocate è tale che opera già nel mondo, in quanto è parte della sua vita, non può non rispondere alla richiesta di uno spirito che giunga al punto in cui il suo volere e il suo destino coincidono. Ciò che è stato ideato allora si riaccende, germina di ulteriori forme, continua ad essere sostanza del divenire umano.

DEL VOLERE CHE AMA

L’amore è l’essere dello spirito: lo spirito che opera nell’umano, ordinariamente dandosi come evento corporeo: talora risorgendo come evento incorporeo: manifestando così la sua vita più alta, epperò più profonda.

Anche il più oscuro e ottuso amore, è in sé vita sovrasensibile: che si altera nelle forme sensibili: senza speranza, perciò, di penetrarle. La vita in ogni suo grado segretamente chiede all’amore revivere secondo il mistero della origine, essendo l’amore la possibilità del suo immediato ricongiungersi con tale mistero: in ogni punto e in relazione a questo. Mistero che l’amore sempre sfiora, evoca e smarrisce: per ritrovarlo. Senza mai ritrovarlo, finché esso stesso non riviva di quella sostanza immortale di cui la vita, in quanto vita egoica, necessariamente si priva e si va privando, sino ad esaurirsi.

Non v’è evoluzione che non si compia come ricongiungimento della forma creata con il suo principio. Essenziale moto d’amore: apertura del limite che limita la forma in cui necessariamente l’essere, in quanto creato, si separa dall’essere originario e si reclude.

Il limite che resiste, il limite che si spezza, è il dolore: che unicamente si dà per ciò in cui ha segrete radici: per l’amore in cui ogni volta, spezzandosi il limite, possa estinguersi. Ma lo spirito che si attua, ogni volta ritrovando se stesso oltre il limite, si riconosce in quella forma di sé che è «l’altro»: nel creato, nelle creature: in una creatura che le riassuma tutte.

Nel riconoscersi, comincia a conoscere la sua storia: da fuori del tempo, nel tempo. E intende il senso della sua solitudine: la ravvisa come il lungo preludio all’incontro con l’essere il cui nome ha sentito pronunciarsi nel segreto dell’anima. Ma è simultaneamente l’incontro con se medesimo: con il soggetto che sperimenta il nuovo moto di vita. Egli è colui che può infine essere con l’altro, perché ritrova se stesso nella sua illimitata solitudine: nel cui segreto è il segreto della solitudine di ogni essere: della profonda unità degli esseri. Che un giorno l’amore renderà manifesta.

Massimo Scaligero, Dell’amore immortale (Tilopa 1963), pp 4-5

Massimo Scaligero, pseudonimo di Antonio Massimo Sgabelloni (Veroli, 17 settembre 1906 – Roma 26 gennaio 1980)

foto di Bernard Hermant su Unsplash

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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