OLTRE

Massimo Scaligero – Il Logos e i nuovi misteri. Il disincanto dell’apparire

La via del Pensiero vivente è il tema centrale anche di questo testo di Massimo Scaligero. Il pensiero che è connesso alla vera libertà. Quanto si trova scritto qui, quindi, è idoneo ad introdurre e poi condurre lo sperimentatore motivato a una esperienza interiore. Un’esperienza reale, che può trasformarsi in liberazione dal pensiero celebrale [riflesso] – disincantando così l’apparire, il miraggio dell’illusoria esteriorità. Ci si muove in un processo inverso, quindi, rispetto all’ordinario – verso l’interiorità –, risalendo il pensiero fino a qualcosa d’altro – poiché “v’è un pensare che non è stato ancora pensato”. Quindi, anche qui, come in ogni altro testo di Scaligero, va sempre sottinteso [anche quando non sia espressamente richiamato] l’imprescindibile primato da attribuire alla disciplina interiore [la “concentrazione” e la “meditazione”], secondo i canoni proprio da lui indicati. Con tutto ciò che ne consegue.

Da

Massimo Scaligero, il Logos e i nuovi misteri (Teseo, 1973)

pp. 47-48

La libertà è il momento del pensiero che muove secondo il proprio Principio, attuandolo però entro i limiti postigli dalla mediazione cerebrale, che lo isola bensì dall’anima antica, ma lo derealizza sul piano dialettico: onde non v ‘è libertà di cui l’uomo possa legittimamente parlare, prima della indipendenza del pensiero dalla mediazione cerebrale.

La libertà che l’uomo crede trovare fuori di sé, in eventi o strutture esteriori, non è che un miraggio, perché è sempre proiezione del vincolo della psiche: il vincolo che tende ad affermarsi come impulso libero, illegittimamente. Il cercatore della libertà deve scoprire che qualsiasi limite trovi ad essa fuori di sé, è un limite che gli è interno.

Libero può essere solo il pensiero, o lo Spirito: la libertà di un desiderio o di un istinto, è la vera prigionia dell’uomo. Il pensiero razionale non è libero, ma ha la possibilità della libertà: reca riflesso il potere sintetico originario, lo ha come momento d’indipendenza dalla relazione metafisica, ma simultaneamente come possibilità di indipendenza dalla relazione fisica, che suscita l’opposizione al metafisico. Esso però ignora tale possibilità, scambiando per normale condizione la menomazione riflessa. In sostanza esso si determina come opposizione alla scaturigine metafisica, ma, nella reificazione dell’alterità fisica, annienta il momento di libertà: ignora il moto originario della relazione, servendosi tuttavia di esso: attinge a un potere che gli rimane sconosciuto. In effetto è libero, ma non esce dalla mediazione cerebrale che lo asserve inconsciamente agli istinti, ossia alla naturaumano-animale.

La realtà costringe, la parvenza lascia liberi. L’uomo moderno, nel disconoscere la realtà metafisica, ha l’iniziale momento della libertà, ma non lo afferra, perché non lo afferra dove sorge: onde esso non coincide con il momento della realtà epperò della verità. Egli bensì volge le spalle alla realtà metafisica, ma, non conoscendo la dipendenza del pensiero dalla mediazione cerebrale, si lega alla realtà fisica, ossia alla parvenza della realtà. Questa non lo costringe, lo lascia libero, perché consente l’illimitatezza della soggettività: egli non afferra la libertà dove sorge, bensì dove si aliena, riflessamente correlata all’aspetto sensibile dell’apparire.

Perciò egli non può distinguere l’a p p a r i r e dal s e n s i bi l e. La vita degli istinti è correlata all’apparire. L’apparire sorge mediante il sensibile, ma non è sensibile esso stesso, essendo la proiezione della relazione originaria. Il vero Sovrasensibile è il disincantamento dell’apparire, o il superamento della condizione riflessa. La coscienza sensibile muove dalla relazione originaria, ma, nel suo limitarsi all’apparire, che lascia libero il suo essere soggettivo, non può non opporsi ad essa. Tuttavia l’uomo ha nella dimensione della libertà l’esigenza di un principio che non necèssiti, per essere, di sostegno fisico né metafisico, essendo in sé l’assoluto originario, capace di disincantamento dell’apparire, epperò di reale dominio fisico: di reale reintegrazione degli istinti. I quali dominano la psiche là dove il pensiero riflesso, credendosi libero, subisce la mediazione cerebrale. Invero, la libertà dell’uomo attuale, inconsapevole della propria interna dipendenza, è una libertà animale, in cui l’elemento animale subisce una corruzione, che l’animale medesimo non conosce.

Massimo Scaligero, il Logos e i nuovi misteri (Teseo, 1973) pp. 47-48

foto di PatrizioYoga su Pixabay

Massimo Scaligero, pseudonimo di Antonio Massimo Sgabelloni (Veroli, 17 settembre 1906 – Roma 26 gennaio 1980)

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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