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Ramana Maharshi – Chi sono io? Sulla conoscenza del Sé

A diciassette anni, Ramana Maharshi, visse un evento straordinario – un ritorno in Sé, come un fulmine, un ricongiungimento alla propria origine, acquisendo il punto di vista del vero Testimone.

L’illuminazione, quindi, sopraggiunse come un fatto spontaneo. Da quel momento Ramana vivrà radicalmente la propria scelta ascetica.

In ordine alla via conoscitiva, non avendo alcuna propensione teorica, lui insegnava a chiunque la consapevolezza del Sé, privilegiando sempre il primato della pratica sulla speculazione. “L’investigare – affermava – si risolverà in una ricerca del Sé e cesserà solo dopo che il non Sé verrà separato e si realizzerà il Sé nella sua purezza”.

In ordine alle domande rivoltegli, su questioni spirituali, la sua risposta più ricorrente era: “Chi sta ponendo la domanda? – io – Scopri quell’ Io e tutti i tuoi dubbi saranno risolti”.  

Lo scopo ultimo della vita, quindi, secondo Ramana, è il superamento della propria personalità individuale, ritenuta come un’illusione, alimentata dalla mente e dal corpo. E quindi lo scopo è anche il trascendimento del mondo inteso come realtà oggettiva contrapposta all’io. Una volta conseguito il nuovo stato spirituale, si diventa consapevoli di ciò che si è realmente. Si riconosce il proprio Sé – ossia l’immanente coscienza, senza forma.

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Dalla presentazione

Ramana Maharshi è stato uno dei maestri spirituali indiani più noti e amati del secolo scorso. Ciò che attraeva i visitatori era l’impressione di santità che immediatamente si provava in sua presenza. Egli irradiava un potere che era percepito da tutti come un sentimento di pace o benessere. Era pienamente consapevole di quell’emanazione e diceva spesso che la trasmissione dell’energia era la parte più importante e diretta dei suoi insegnamenti. Occasionalmente interrompeva il suo silenzio per rispondere alle domande dei visitatori. Qui sono raccolte alcune di quelle conversazioni, che racchiudono una sintesi del suo pensiero.

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Conversazioni con Ramana Maharshi. Dal diario di Annamalai Swami. A cura di David Godman (Edizioni Il Punto d’Incontro, 2014)

pp.14-15

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Le seguenti domande furono poste da una signora americana dall’aspetto aristocratico. Le risposte di Bhagavan [Ramana Maharshi] sono un succinto riassunto dei suoi insegnamenti pratici.

Domanda: Qual è la verità che devo conseguire? Ti prego di spiegarla e mostrarmela.

Bhagavan: Ciò che dobbiamo conseguire e ciò che è desiderato da tutti è infinita felicità. Sebbene cerchiamo di conseguirla in vari modi, non è qualcosa che si può cercare o conseguire come una nuova esperienza. La nostra vera natura è il sentimento “io” che è sempre sperimentato da tutti. È all’interno di noi e da nessun’altra parte. Sebbene lo stiamo sempre sperimentando, le nostre menti stanno vagabondando, sempre alla ricerca di ciò, pensando nell’ignoranza che sia qualcosa di separato da noi. È come una persona che con la sua stessa lingua dice di non avere la lingua.

Domanda: Se è così, perché sono state create così tante sadhana (pratiche spirituali)?

Bhagavan: Le sadhana sono state formate soltanto per liberarsi del pensiero che ciò sia qualcosa di nuovo da conseguire. La radice dell’illusione è il pensiero che ignora il Sé e che invece pensa: “Io sono questo corpo”. Dopo che questo pensiero sorge si espande in un attimo in parecchie migliaia di pensieri e vela il Sé. La realtà del Sé risplenderà soltanto se tutti questi pensieri verranno rimossi. In seguito, ciò che rimane è soltanto Brahmananda (la beatitudine di Brahman).

Domanda: Ora sto sedendo pacificamente senza il pensiero “Io sono questo corpo”. È questo lo stato della realtà?

Bhagavan: Questo stato deve rimanere così com’è senza alcun mutamento. Se cambia dopo un po’ allora saprai che gli altri pensieri non sono scomparsi.

Domanda: Qual è il modo di liberarsi degli altri pensieri?

Bhagavan: Possono essere rimossi soltanto attraverso il potente effetto dell’indagine: “A chi sono giunti questi pensieri?”.

Il giorno successivo alla signora americana vennero altri dubbi. Avvicinò nuovamente Bhagavan e iniziò a porre altre domande.

Domanda: Qual è la via per vedere Dio?

Bhagavan: Dove vedere Dio? Innanzitutto, puoi vedere te stessa? Se puoi vedere te stessa puoi vedere Dio. Può qualcuno vedere i suoi propri occhi? Poiché non possono essere visti, può uno dire, “Non ho occhi”? Allo stesso modo, sebbene il vedere è sempre presente, non possiamo vedere Dio. Abbandonare il pensiero che siamo alieni a Dio significa vedere Dio. La prima e più grande meraviglia di questo mondo è il pensiero, “Io sono diverso da Dio”. Non c’è meraviglia più grande di questa. C’è una storia nella Chandogya Upanishad che spiega questo. Un uomo che stava dormendo profondamente nella sua casa cominciò a sognare. Nel sogno qualcuno venne e mise della droga nel suo naso e quindi, dopo avergli bendato gli occhi e legato le mani, lo lasciò nel mezzo di una foresta e se ne andò. Senza conoscere il sentiero per tornare a casa, vagabondò a lungo tra le spine e le pietre della foresta. Alla fine cominciò a piangere. Un deva (essere divino) gli apparve e chiese: “Perché piangi? Chi sei? Perché sei venuto qui?”. L’uomo bendato diede i particolari del suo nome, villaggio e così via. Poi disse: “Qualcuno è venuto e mi ha drogato, mi ha bendato gli occhi, mi ha legato le mani, mi ha lasciato nel mezzo della foresta e se ne è andato. Il deva lo liberò dai suoi legami, gli mostrò un sentiero e gli disse: “Se segui questo sentiero arriverai al tuo villaggio”. L’uomo seguì le istruzioni, raggiunse il villaggio ed entrò nella sua casa. In quel momento si risvegliò dal sogno. Guardò la porta e vide che era chiusa dall’interno. Realizzò che aveva passato l’intera notte sdraiato a letto e che non era mai stato nella foresta né era ritornato di là. Comprese che la causa di tutta la sua sofferenza era la sua avichara buddhi (mancanza di discernimento). L’idea che siamo separati da Dio e l’idea che dobbiamo sottoporci a un’ardua sadhana per raggiungerlo sono altrettanto false quanto l’idea che l’uomo aveva nel suo sogno. Mentre era sdraiato confortevolmente a letto la sua immaginazione lo condusse a credere che stava soffrendo in una foresta e che avrebbe dovuto fare grande sforzo per ritornare nel suo letto. Si consegue Dio e si rimane nello stato del Sé quando il pensiero di voler conseguire scompare.

Conversazioni con Ramana Maharshi. Dal diario di Annamalai Swami. A cura di David Godman (Edizioni Il Punto d’Incontro, 2014)

Rāmaṇa Mahārṣi  (30 dicembre 1879 – 14 aprile 1950) è stato un mistico indiano, ed un maestro dell’Advaita Vedānta del XX secolo. È uno dei saggi più celebrati in India. Dall’età di 17 anni visse in ascesi nelle grotte ai piedi del monte Aruṇācala (nelle vicinanze della città di Tiruvannamalai), una delle montagne sacre dell’India, dove restò fino alla morte nel 1950. Numerosi ricercatori spirituali divennero suoi devoti, fondarono un āsram vicino a Arunachala|Aruṇācala, dove ricevettero i suoi insegnamenti, secondo cui l’essenza dell’essere umano è conoscenza senza limiti, beatitudine e completa libertà.

da wikipedia

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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