Marina Cvetaeva – i tre tipi di poeta
Tentativo di gerarchia
Un buon poeta. Un grande poeta. Un poeta sublime.
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Marina Cvetaeva in questo testo (Il poeta e il tempo, Adelphi editore, 2009) riesce, in pochi tratti, a delineare una tripartizione ideale, dalle sfumature sottilissime. Tutto il discorso può essere colto seguendo i movimenti del suo pensiero vivente. Risalendo supporto dopo supporto, ogni sapere dato per acquisito. Tutto ciò che sembrava solido e che invece adesso sembra svanire, per lasciare il posto alla percezione di una realtà più vera, più essenziale.
Buon poeta può essere qualunque poeta. Dipende dall’intensità del suo dono poetico.
Ma per il grande poeta un grande dono poetico è poco, occorre un equivalente dono della personalità: di intelligenza, anima, volontà – e occorre che tutto questo, insieme, tenda a un determinato fine, e cioè all’armonica organizzazione dell’insieme.
Poeta sublime può essere un poeta niente affatto buono, portatore del dono più modesto – un Alfred de Vigny, che solo con la forza del suo valore interiore ci obbliga a riconoscerlo poeta. Nel suo caso il dono è stato appena appena sufficiente. Un poco di meno, e avremmo avuto semplicemente un eroe (cioè infinitamente di più).
Il grande poeta include in sé anche il sublime – e lo bilancia. Ma il poeta sublime non include in sé il grande poeta, altrimenti diremmo semplicemente: «grande». Il sublime come unico segno di esistenza. Così, non c’è poeta più grande di Goethe, ma ci sono poeti più sublimi, come il suo più giovane contemporaneo Hölderlin, poeta incomparabilmente più povero, ma frequentatore di altezze montane delle quali Goethe era soltanto ospite.
Giacché anche l’arte grande è sempre meno dell’arte alta, pure se la statura è la stessa. Grande è la quercia, sublime nella sua altezza – il cipresso.
Troppo ampio e solido è il fondamento terreno del genio per consentirgli di crescere in altezza. Shakespeare, Goethe, Puškin.
Se Shakespeare, Goethe, Puškin fossero stati poeti più alti, non avrebbero udito molte cose, a molte altre non avrebbero risposto e a molte altre ancora non si sarebbero abbassati.
Il genio è la risultante di forze contraddittorie e dunque, in ultima analisi, equilibrio, mentre la giraffa è un mostro: un essere di un’unica dimensione – quella del suo collo; la giraffa è un collo. (Ogni mostro è una parte di se stesso). «Il poeta ha la testa tra le nuvole» – è vero, ma è vero solo per una razza di poeti: i solo-sublimi, i solo-spirituali. E tra le nuvole non hanno solo la testa: ci abitano. Un gobbo paga sempre per la sua gobba; sulla terra un angelo deve pagare per le sue ali. Un’incorporeità così vicina alla sterilità, aria rarefatta, in luogo della passione – pensiero, in luogo delle parole – sentenze: ecco gli indizi terrestri degli ospiti venuti dal cielo.
L’unica eccezione: Rilke, poeta non solo altrettanto grande che sublime (lo stesso si può dire di Goethe) – ma di un’altezza esclusiva che, in questo caso, nulla esclude. Come se Dio – che con altri poeti dello spirito, dando loro una cosa, si prende tutto il resto – a Rilke avesse invece lasciato tutto. In sovrappiù.Il sublime come parità non esiste. Solo come supremazia.
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Marina Cvetaeva, da Il poeta e il tempo (Adelphi edizioni 2009), pp. 92-93
Marina Cvetaeva, nata a Mosca nel 1894, morta suicida a Kazan′ nel 1941. Originale nello stile e nel ritmo, non ha precedenti e non appartiene a nessuna scuola. È stata ravvicinata a V. V. Majakovskij – con cui ha in comune il ritmo – e a B. L. Pasternak, che amò e ammirò molto e cui l’avvicinano la sua vasta e profonda cultura e il suo spirito romantico nutrito di romanticismo tedesco, nonché ad Andrej Belyj e A. Blok, che ella stessa considerava suoi maestri, ma nel complesso è sola come artista e come persona poiché visse isolata e non partecipò alla vita degli emigrati russi di Parigi. La sua facilità e spontaneità nello scrivere le hanno dato conforto nella solitudine e la possibilità di creare una vasta opera poetica che le assicura indubbiamente un posto di primo piano fra i poeti russi. Nel 1922 emigrò dalla Russia, dove aveva già pubblicato due volumi di versi (Večernij al’bom “L’album serale”, 1910-11; Volšébnyj fonar’ “La lanterna magica”, 1912-13), per Parigi, ma vi tornò volontariamente nel 1938. Nulla si sa del suo ultimo soggiorno in Russia e si conosce una sola poesia pubblicata in quest’epoca.
Le principali raccolte dei suoi versi pubblicate dal 1922 in poi sono: Versty (“Le verste”, Mosca 1922); Stichi k Bloku (“Versi a Blok”, Berlino 1922); Razluka (“Separazione”, ivi 1922); Psicheja (“Psiche”, ivi 1922); i poemi Car’-devica (Lo zar-fanciulla”, Mosca e Berlino contemporaneamente, 1922) e Molodec (“Il giovanotto in gamba”, Praga 1924); Remeslo (“Il mestiere”, Berlino 1923); Posle Rossii (Dopo la Russia”, Parigi 1928). Dopo il 1928 la C. visse altri dieci anni in Francia e collaborò a varie riviste con poesie isolate, ma non pubblicò più alcun volume, sebbene già nello stesso 1928 avesse pronti tre volumi di versi scritti tra il 1913 e il 1921. Come scrittrice in prosa ha dato il meglio di sé nei saggi critici su Belyj, Brjusov, Kuzmin, Pasternak e soprattutto nei suoi ricordi. Un volume delle sue prose è stato pubblicato nel 1953 a New York.
Biografia – dal Dizionario Biografico Treccani:
https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Dizionario_Biografico