Osip Mandel’štam – Il Programma del pane. Come lievita la poesia
Al centro di questo volume Osip Mandel’štam pone la parola poetica, come lievito per produrre armonia. È la metafora del lievito e del pane, del mondo come focolare domestico. E del poeta come poeta-lievito, che, a suo modo, cerca quindi di curare la storia, attenuandone violenza e brutalità. Tanto da addolcirne anche i tratti più terribili, perfino quelli del padre più spaventoso (Ode a Stalin). Con il presentimento, anche, della propria condanna all’annientamento. In questo breve passo al centro vi è il poeta con la sua parola, per sempre, al di là della forma, come in una continua resurrezione.
PAROLA E CULTURA
Da Il Programma del pane. Come lievita la poesia, pp. 27-29
La poesia è un vomere che rivolta il tempo in modo da far riemergere in superficie i suoi strati profondi, la terra nera ricca di materiali organici del tempo. Ci sono epoche in cui l’umanità, insoddisfatta del presente, desiderando nostalgicamente quelli strati di tempo profondo, come un aratore, brama le terre non coltivate dei tempi. La rivoluzione dunque nell’arte conduce inevitabilmente al classicismo. Non perché David abbia mietuto le messi di Robespierre, ma perché è la terra a volerlo. Tocca spesso di sentire: è bello sì, ma è ormai cosa di ieri. E io dico: il giorno di ieri non è ancora nato. Non si è realizzato pienamente. Voglio Ovidio di nuovo, Puškin, Catullo, non mi soddisfano Ovidio, Puškin, Catullo storicamente dati.
È sorprendente in realtà come tutti traffichino coi poeti e non riescano a slacciarsene in nessun modo. Sembrerebbe che una volta letti la cosa fosse chiusa. Superati, come si dice ora. Neanche un po’. L’argentea tromba di Catullo: Ad claras Asiae volemus urbes procura inquietudine e tormento più di qualsiasi enigma futurista. Un analogo russo non c’è. Eppure ci deve essere. Ho scelto come esempio versi latini perché sono chiaramente percepiti dal lettore russo come categoria di necessità, l’imperativo in essi risuona con più forte evidenza. Ma a qualsiasi poesia, in quanto classica, è presente questa proprietà. È percepita come ciò che deve essere, e non come ciò che è già stato.
Di conseguenza, nessun poeta è ancora esistito. Siamo liberi dal peso dei ricordi. In compenso, quanti presentimenti preziosi: Puškin, Ovidio, Omero. Quando nel silenzio l’amante esita fra teneri nomi, e d’improvviso ricorda che questo è già esistito: le parole, i capelli, e il gallo che al di là della finestra ha già cantato nei Tristia ovidiani, la gioia profonda dell’iterazione lo afferra, una gioia vertiginosa.Come acqua cupa bevo l’aria fatta torbida, il tempo è arato dal vomere, e la rosa è già stata terra.
Dunque il poeta non teme le iterazioni e con leggerezza si inebria col vino della classicità. Ciò che è giusto per un poeta è giusto per tutti.
Non vale la pena organizzare nessuna scuola. Non vale la pena inventarsi una poetica personale.Il metodo analitico applicato alla parola, al movimento e alla forma è un procedimento pienamente legittimo e affinato.
Negli ultimi tempi la demolizione è diventata una premessa puramente formale in arte. Disgregazione, decomposizione, putrescenza: siamo ancora alla decadence. Ma i decadenti erano artisti cristiani, a loro modo ultimi martiri cristiani. La musica della decomposizione per loro era musica di resurrezione. Charogne di Baudelaire era per loro il più alto esempio di disperazione cristiana.
Altra cosa la demolizione consapevole della forma. Suprematismo indolore. La negazione del volto dei fenomeni. Suicidio per calcolo, per pura curiosità. Si può scomporre, si può comporre: pare la forma ad essere sottoposta a prova, ma in realtà marcisce e si decompone lo spirito (e, avendo citato Baudelaire, avrei voglia di ricordare il suo significato di asceta, nel senso più autenticamente cristiano di martyre).
Nella vita della parola è arrivata un’era eroica. La parola è carne e sangue, condivide la sorte della carne e del sangue: la sofferenza. Gli uomini hanno fame. Più degli uomini ha fame lo Stato. Ma qualcosa ha ancora più fame: il tempo. Il tempo vuole divorare lo Stato.
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Osip Mandel’štam, Il Programma del pane. Come lievita la poesia (Editoriale Jouvence 2021),
a cura di Lia Tosi
Mandel’štam, poeta russo (n. Varsavia 1891 – m. 1938). Ha condensato la sua poesia, classica, erudita, mitica, antisentimentale, nelle raccolte Kamen´ (“La pietra”, 1913) e Tristia (1922), in cui oscilla fra il patetico e il grottesco, tra stile scultorio ed espressione ermetica. Nel 1934 fu arrestato per aver scritto versi contro Stalin. Arrestato una seconda volta, morì, sembra, in campo di concentramento. Una raccolta, comprendente poesie inedite, fu pubblicata a New York nel 1955.
La biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/osip-emilevic-mandel-stam_%28Enciclopedia-Dantesca%29/