CRITICA

Giovanni Raboni – Meglio star zitti? Scritti militanti. Stroncatura di Marcel Proust come poeta

Da critico, Giovanni Raboni, esprimeva sempre, con schiettezza e senza timori, le proprie posizioni così come la propria avversione nei confronti di opere ritenute “brutte” [anche se firmate da personaggi influenti e apprezzati].

Poiché, per lui, il dovere della critica militante era proprio quello di adempiere a un imperativo imprescindibile: essere per il pubblico una guida onesta e attendibile.

«Una stroncatura – diceva – pur che abbia un minimo di fondamento, serve alla buona salute della letteratura cento volte di più, non solo del silenzio, ma anche di un elogio infondato».

L’imperativo filosofico per il critico, secondo Raboni, doveva essere quello di «far apparire l’oggetto» dell’opera [attitudine derivata dalla fenomenologia husserliana], non ostentando mai la propria sicurezza d’opinione [“molto meglio sfumarla”]. E poi ancora: mai “fare sfoggio del proprio talento stilistico», dal momento che il vero scopo è la “chiarezza”.

La sua grande capacità di ascolto derivava dalla sua ostinata volontà di “restituire la verità” dei poeti letti, al netto dei propri pregiudizi. In quanto la «verità non ha mai una sola faccia».

Al termine della sua introduzione, Luca Daino, scrive: “Negli ultimi anni Raboni era ormai convinto che «con l’aria che tira» ogni «evidenza scompare in una fulgida nebbia, ogni dissenso naufraga in un coro di insulti e di sberleffi»: e allora forse è «meglio star zitti; oppure allinearsi». Ma [lui] ha invece continuato a parlare, sia pure da altoparlanti via via meno potenti […] Ha invece continuato a esprimere i suoi giudizi con la sapienza, il rigore e la passione che abbiamo imparato a conoscere e di cui, oggi più di allora, dobbiamo essergli grati.”

Da Giovanni Raboni, Meglio star zitti? Scritti militanti su letteratura cinema teatro (1964-2004).A cura di Luca Daino (Mondadori, 2019)

Presentazione del libro

Meglio star zitti? raccoglie centosettanta stroncature firmate da Giovanni Raboni in quarant’anni di attività critica: interventi talvolta garbati, più spesso sarcastici e addirittura spietati, tesi a mettere in discussione il valore e il significato di prodotti artistici (romanzi, poesie, film, spettacoli teatrali) e di fenomeni di costume. Ne fanno le spese nomi blasonati: Woody Allen, Italo Calvino, Umberto Eco, Federico Fellini, Dario Fo, Giorgio Gaber, Ernest Hemingway, MilanKundera, Pier Paolo Pasolini e tanti altri. Inflessibile nella difesa della qualità, Raboni condanna la deriva consumista della produzione culturale italiana del dopoguerra, rivendicando la responsabilità primaria del critico militante: essere per il pubblico una guida attendibile e onesta, chiamata a distinguere il “vero” dal “falso”. Compito che va sempre più assumendo i toni di una solitaria e disperata sfida etica.

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Proust lasciava la «Recherche» per giocare con la poesia

pp.134-135

Che Proust avesse scritto poesie, lo si sapeva. Ma pochissime (quelle comprese in Les Plaisirs et les Jours, il suo composito, evasivo, raffinato libro d’esordio) ne aveva pubblicate in vita: e altre erano comparse qua e là solo dopo la sua morte, su riviste o come parte integrante del suo vastissimo epistolario. Meno di due anni fa, due studiosi francesi, Claude Francis e Fernande Contier, le hanno riunite tutte, edite e inedite (e proprio le inedite costituiscono la parte più cospicua), in una pubblicazione per specialisti, il decimo dei «Cahiers Marcel Proust». E ora, con una prontezza che testimonia dell’interesse vivo e crescente della nostra cultura e della nostra editoria per l’autore della Recherche, ecco anche la versione italiana, curata da Franco Fortini e pubblicata da Einaudi in un bel volume arricchito, all’inizio, da alcune famose, ma sempre emozionanti, immagini fotografiche di Proust e del suo ambiente.

Suppongo che chi conosce e ama Proust senza aver mai letto uno solo dei suoi versi si domanderà con una certa ansia, a libro ancora chiuso: Che poeta è, dunque, questo grandissimo prosatore? A tale ipotetico interrogativo credo sia bene rispondere, a scanso di equivoci e delusioni, con molta franchezza. Proust non era (non è) un grande poeta; anzi, per essere espliciti fino alla brutalità, non è un poeta affatto. La sua versificazione è dilettantesca, generica, spesso zoppicante; immagini e metafore sono, sempre o quasi sempre, di maniera; il registro espressivo è povero, monocorde, incolore. Insomma: se questi versi fossero stati ritrovati anonimi in qualche cassetto o in qualche album, nessuno si sarebbe preso la briga di riesumarli, e la cosa non avrebbe recato il minimo pregiudizio né alla figura di Proust, né – tanto meno – alla nostra conoscenza della poesia francese.

Eppure… Eppure, una volta che si sappia (e noi, per l’appunto, lo sappiamo) che a scriverli è stato il romanziere più grande di questo secolo, anche i versi ritrovati e raccolti, qui, con tanto filologico acume, sembrano animarsi, acquistare verità e spessore. Effetto di autosuggestione? Non proprio, non soltanto. Proust ha scritto: «Un libro è il prodotto d’un io diverso da quello che manifestiamo nelle abitudini, in società, nei nostri vizi». Ebbene, “questo” libro (forse perché il suo autore non lo ha pensato o voluto come tale) è, invece, esattamente il contrario: è un ritratto dell’io esteriore di Proust, delle sue abitudini, delle sue amicizie o frequentazioni, dei suoi umori quotidiani. Ed è impossibile non trovare interessante il ritratto, se si consideri la statura del personaggio che si è messo, volontariamente o involontariamente, in posa.

È quasi superfluo, dopo quanto si è detto, aggiungere che a destare il nostro interesse, più delle poesie giovanili o adolescenziali che tradiscono, in tutti i sensi, ambizioni più elevate, sono proprio le poesie di circostanza, i biglietti scherzosi o galanti, le caricature, le parodie, che Proust continuò a scrivere con feroce gaiezza pari al raggiunto disincanto, alla raggiunta consapevolezza del proprio destino. Conscio, ormai, della sua grandezza, legato alla ruota d’un capolavoro sterminato che pretendeva da lui d’esser scritto fino all’ultimo respiro, fino all’ultima goccia della sua energia e della sua vita, Proust faceva piccole, stravaganti, deliziose sortite dal carcere esaltante e terribile della sua creatività confezionando pastiches e calembours, scarabocchiando dediche e adress per gli amici del cuore, le dame mitizzate in gioventù, la governante, la cuoca… Se è vero, come io credo, che mai, da che esiste la letteratura, sia stato concepito e realizzato un disegno narrativo più vasto, arduo e totale di quello della Recherche, mi sembra legittimo incantarsi e commuoversi di fronte allo spettacolo delle ironiche, frivole, innocenti distrazioni che l’artefice-vittima di tanta opera concedeva con parsimonia a se stesso. Personalmente, è quello che mi è capitato; ed è anche l’uso migliore e più proprio di questo libro che io mi senta di consigliare ai lettori.

Qualche parola, per finire, sulla traduzione, che un poeta del valore e della sapienza di Franco Fortini ha deciso di realizzare – assai opportunamente, trattandosi, come s’è detto, di documenti più che di poesie – in prosa anziché in versi. Ma attenzione: è una prosa molto vibrante, piena di “trabocchetti” ritmici, di versi abbozzati, imbozzolati, nascosti… Andare a rintracciarli, a scovarli, non è fra i piaceri minori proposti da questo volume superfluo e prezioso.

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Recensione a Marcel Proust, Poesie, Einaudi, Torino 1983, in «Tuttolibri», X, 391, 28 gennaio, 1984, p. 2.

Giovanni Raboni, Meglio star zitti? Scritti militanti su letteratura cinema teatro (1964-2004).A cura di Luca Daino (Mondadori, 2019)

Giovanni Raboni, Milano 1932 – Parma 2004. Poeta (L’opera poetica, «Meridiano» Mondadori 2006; Tutte le poesie 1949-2004, Einaudi 2014), è stato anche traduttore (tra l’altro, di tutta la Recherche proustiana, premio Aristeion della Comunità Europea), dirigente editoriale, critico letterario, cinematografico e teatrale.

La biografia completa Quihttps://www.giovanniraboni.it/biografia-dettagliata/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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