CRITICA

Franco Fortini – I poeti del novecento. La poesia contemporanea e la conoscenza delle sue fonti

“I poeti del novecento” di Fortini è un’antologia strutturata come uno studio critico in forma di saggio. Un’opera articolata e ancora attuale, approfondita e ricca di valutazioni.

I poeti italiani sono presentati prescindendo dall’appartenenza agli schieramenti letterari, privilegiando, invece, le varie dinamiche dovute all’incontro – di opera e autore – con la realtà e con la propria epoca. La poesia viene così considerata nella sua singolarità espressiva e, al contempo, nel suo essere specchio di una storia comune, però mai disgiunta dalla storia individuale del poeta.

La prosa sobria, con finalità didattiche, fa emergere da queste pagine “una concezione di tipo religioso del poeta come testimone e martire” [così Pier Vincenzo Mengaldo dalla prefazione]. Mentre la poesia viene intesa come “opposizione, alternativa e utopia”.

Poi sarà lo stesso Fortini a sostenere che – se anche la comprensione esistenziale proposta dalla poesia lirica del Novecento verrà “oscurata da altre forme letterarie e da altri modi di essere”–, comunque, la stessa, sarà sempre “qualcosa di decisivo per il significato di questo presente”.

Franco Fortini, I poeti del novecento (Donzelli, 2017)

estratti da pg 27-30

.

Premesse alla poesia del nostro secolo: linee di sviluppo e problemi di periodizzamento

.

Una parte della critica situa nell’opera di Pascoli la novità che è all’inizio della poesia contemporanea; c’è chi la scorge tra Gozzano e i futuristi, anzi tra Palazzeschi e Govoni, in una zona che in parte avversa e in parte accoglie temi e linguaggio del cosiddetto decadentismo; c’è invece chi, seguendo tuttavia un criterio pressoché indiscusso fin verso la fine degli anni Cinquanta, la stabilisce nella prima raccolta di Ungaretti e fa di lui il vero padre della poesia del Novecento.

Ognuna di queste posizioni si rifà a premesse esplicite o implicite molto importanti per il successivo svolgimento critico; far corrispondere la novità o diversità della poesia contemporanea alla prima raccolta di Ungaretti significa accettare quella che dal 1925 al 1945 parve una linea sicuramente privilegiata che condurrebbe dai «vociani» agli «ermetici»; mettere invece in rilievo Gozzano (o Lucini) e i futuristi (o Palazzeschi e Govoni) significa contestarla, quella linea, e identificarne una di rottura con la tradizione letteraria dei secoli passati, che si fosse proposta una radicale «discesa» di livello, tanto nella tematica quanto nel linguaggio; mentre chiamare Pascoli vero primo poeta «moderno» italiano, come quello nella cui opera si annullerebbero le distinzioni di «alto» e di «basso» e avrebbe inizio un’aperta prevalenza dei valori asemantici e fonosimbolici, significa farla finita tanto con l’idea di una linea privilegiata novecentesco-ermetica (e rendere possibile così il recupero di quanto di espressionistico, plurilinguistico e dialettale si è manifestato negli scorsi sessant’anni) quanto con un «contenutismo» di pretese eversive.

E, tanto con la seconda ipotesi quanto con questa terza e ultima, significa associare strettamente, se non subordinare, la lettura critica della poesia contemporanea a un’indagine soprattutto linguistica.

Sul problema degli inizi si incontrano e scontrano, insomma, tendenze che vanno ben al di là della teoria letteraria. Tutte hanno però in comune la persuasione che tra la fine del secolo e quella della prima guerra mondiale ebbe a intervenire un mutamento decisivo nelle forme e nei temi della poesia italiana e che sia necessario, descritte le diverse correnti, privilegiarne alcune.

In definitiva, le nozioni di «progresso» e di «regresso» (che sarebbe davvero arduo impiegare o persino sottintendere per l’analisi critica di opere a noi molto remote nel tempo) sono invece tanto più presenti, quanto più mascherate nelle discussioni critiche sulla poesia contemporanea; per la pessima ragione che quest’ultima si è manifestata nel corso del nostro secolo sotto specie di movimenti, gruppi, riviste e scuole, tutti segnati da caratteri concorrenziali e dominati da esigenze pratiche, non senza l’intervento di passioni associative che con la letteratura hanno tanto poco a che fare, quanto hanno invece con classificazioni scolastiche, con ausili per la memoria o con bandiere di combattimento (i «vociani», i «rondisti», i «futuristi», gli «ermetici», i «novissimi»).

Si ha l’impressione insomma che, nel complesso e per un periodo di tempo molto lungo, ogni tentativo di sistemazione critica della poesia contemporanea – e bisognerebbe dire della poesia europea, non solo di quella italiana – abbia subito il pregiudizio della «modernità», ossia il pregiudizio che privilegia in tutti i casi il dopo sul prima e il momento dell’innovazione su quello della conferma. Col risultato di tracciare una continuità fra l’esperienza simbolista, postsimbolista e avanguardistica, riassorbendo in tale continuità anche una parte della grande avventura dei surrealisti, oppure accentuando il valore e l’attualità della poesia dell’espressionismo o (più in genere) di quella che viene detta letteratura impegnata o militante o contestatrice.

Quel pregiudizio ha reso difficile situare convenientemente, da noi, figure poetiche di alta statura quali Saba, o anche Delio Tessa e Giacomo Noventa. Mentre ha esaltato oltre i loro meriti altre voci; come quella di Campana o di Quasimodo. Una simile impostazione aveva certo un suo serio fondamento: la linea della «modernità» coincideva infatti con mutamenti profondi nell’ordine linguistico. Ma (e qui essa si contraddiceva) invece di risolvere interamente il discorso critico in analisi linguistica (o tematica), e parlare tutt’al più di scuole o generi o tendenze, continuava – come noi riteniamo inevitabile – a puntare soprattutto sull’individuazione delle personalità e sulla singolarità o eccellenza degli esiti.

Gianfranco Contini (il critico e filologo che di sé parla ironicamente come di un «grammatico»), conscio di una tale contraddizione, ha proceduto a strutturare una interpretazione della nostra letteratura contemporanea su due linee parallele: l’una che allinea le opere in quanto funzioni di un linguaggio in trasformazione il quale continuamente le oltrepassi, l’altra che coglie, anche più delle opere, gli autori nella loro differenza specifica cioè, e di necessità, anche psicologica.

Ma gli inizi del secolo si allontanano e la ricerca dei contemporaneisti esplora, analizza, pubblica inediti, congegna e applica metodi nuovi. Il paesaggio della nostra poesia moderna assume forme sempre più tormentate. Una descrizione propriamente linguistica della letteratura poetica ha già reagito, come chiedeva P. V. Mengaldo, su partizioni ritenute valide fino a ieri. Si può, ad esempio, seguire attraverso la lingua della poesia novecentesca il perdurare delle influenze pascoliane, e dannunziane, il recupero di classici (in chiave espressionistica o neoclassicheggiante), l’influenza degli autori stranieri, la sopravvivenza di situazioni e tendenze regionali, la fortissima vivacità dei dialetti, l’insistita apertura al lessico d’uso, e così via.

Pensiamo a talune personalità minori, oscurate dalla difficoltà di venir rubricate in modo scolasticamente soddisfacente e che tuttavia, se assenti, rendono inspiegabili certe sopravvivenze o reviviscenze formali.

[…]



Franco Fortini, I poeti del novecento (Donzelli, 2017)

A cura di Donatello Santarone. Con un saggio introduttivo di Pier Vincenzo Mengaldo

Franco Lattes (Fortini è uno pseudonimo) è nato a Firenze nel 1917 e morto a Milano nel 1994. Ha insegnato storia della critica all’università di Siena. Redattore del “Politecnico”, fu tra i fondatori della rivista politico-letteraria “Ragionamenti”. Ha pubblicato raccolte di poesie come Foglio di via e altri versi (1946) e Questo muro (1973) e saggi come Dieci inverni (1957) e Ventiquattro voci per un dizionario di lettere (1968). Nelle sue opere e nella sua attività culturale, Fortini ha costantemente espresso la volontà e difficoltà di “essere nella storia”. Come saggista si è occupato di temi centrali della cultura contemporanea: i rapporti tra letteratura e politica, la condizione dell’intellettuale nella società neocapitalista, la necessità di una nuova retorica.


La biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/franco-fortini/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

Lascia una risposta