POETI

Cesare Pavese – da Lavorare stanca

Antenati

.

Stupefatto del mondo mi giunse un’età

che tiravo gran pugni nell’aria e piangevo da solo.

Ascoltare i discorsi di uomini e donne

non sapendo rispondere, è poca allegria.

Ma anche questa è passata: non sono piú solo

e, se non so rispondere, so farne a meno.

Ho trovato compagni trovando me stesso.

.

Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto

sempre in uomini saldi, signori di sé,

e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi.

Due cognati hanno aperto un negozio – la prima fortuna

della nostra famiglia – e l’estraneo era serio,

calcolante, spietato, meschino: una donna.

L’altro, il nostro, in negozio leggeva romanzi

– in paese era molto – e i clienti che entravano

si sentivan rispondere a brevi parole

che lo zucchero no, che il solfato neppure,

che era tutto esaurito. È accaduto piú tardi

che quest’ultimo ha dato una mano al cognato fallito.

.

A pensar questa gente mi sento piú forte

che a guardare lo specchio gonfiando le spalle

e atteggiando le labbra a un sorriso solenne.

È vissuto un mio nonno, remoto nei tempi,

che si fece truffare da un suo contadino

e allora zappò lui le vigne – d’estate –

per vedere un lavoro ben fatto. Cosí

sono sempre vissuto e ho sempre tenuto

una faccia sicura e pagato di mano.

.

E le donne non contano nella famiglia.

Voglio dire, le donne da noi stanno in casa

e ci mettono al mondo e non dicono nulla

e non contano nulla e non le ricordiamo.

Ogni donna c’infonde nel sangue qualcosa di nuovo,

ma s’annullano tutte nell’opera e noi,

rinnovati cosí, siamo i soli a durare.

Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori

– noi, gli uomini, i padri – qualcuno si è ucciso,

ma una sola vergogna non ci ha mai toccato,

non saremo mai donne, mai schiavi a nessuno.

.

Ho trovato una terra trovando i compagni,

una terra cattiva, dov’è un privilegio

non far nulla, pensando al futuro.

Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei,

noi sappiamo schiantarci, ma il sogno piú grande

dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi.

Siamo nati per girovagare su quelle colline,

senza donne e le mani tenercele dietro alla schiena.

.

[primavera 1932].

Cesare Pavese, da Lavorare stanca (Solaria 1936; ampliata con edizione Einaudi 1943)

Biografia da Enciclopedia Treccani online

Nacque da famiglia piccolo-borghese originaria delle Langhe. Visse per lo più a Torino, dove si laureò in lettere con una tesi su W. Whitman; discepolo di Augusto Monti, amico di L. Ginzburg e di altri intellettuali antifascisti, fin dagli anni Venti lesse numerosi autori americani e iniziò a tradurre scrittori inglesi e americani. Negli anni successivi svolse un intenso lavoro in questo campo traducendo, tra l’altro, opere di Defoe, Dickens, Melville, Joyce. Fra il 1935 e il 1936, per i suoi rapporti con i militanti del gruppo Giustizia e Libertà venne arrestato, processato e inviato al confino a Brancaleone Calabro; tornato a Torino, fu tra i principali collaboratori della casa editrice Einaudi. Ma la sua vita era dominata da un profondo senso di solitudine e vuoto, più forte dopo la fine di un’esperienza d’amore vissuta negli ultimi anni di università. A partire dal 1940 una nuova, difficile amicizia fu quella con F. Pivano. Nel 1942 fu assunto direttamente come dipendente della casa editrice Einaudi: dopo un soggiorno a Roma, si rifugiò durante l’occupazione tedesca in un paese del Monferrato, presso la sorella, guardando con amarezza gli eventi della Resistenza. Dopo la Liberazione, si iscrisse al partito Comunista e cominciò a collaborare all’Unità. Seguirono anni di lavoro molto intenso, in cui egli scrisse e pubblicò le sue opere di maggior successo. Venne trovato morto, per effetto di una dose eccessiva di sonnifero, il 27 agosto 1950.

Per la biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-pavese/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

Lascia una risposta