
Virginia Woolf – dal “Diario di una scrittrice”. Il rivelarsi di un metodo
Nel ’53 Leonard Woolf raccoglie in un volume una selezione tratta dai diari di sua moglie Virginia [diari scritti tra il 1915 e il 1941 – anno del suicidio della scrittrice]. Sono pagine di particolare interesse soprattutto per quel che riguarda la dimensione artista. Vita e pensiero, infatti, vi si ritrovano riuniti in un’intimità di luce e ombre.
Le Parole sono il frutto di meditazioni profonde volte al proprio mondo interiore, in uno stato d’animo sempre più colmo di sofferenze, dove sono frequenti le crisi nervose. Ma l’elemento psicologico è poi sempre posto in relazione col fuori, assorbendo ogni elemento esteriore, mediante una sottilissima capacità di osservazione, includente persone, luoghi, storia comune – il vissuto di un’epoca dilaniata dalla guerra. E poi, a fare da trama tra le pagine, la tessitura delle annotazioni sulla scrittura e sullo stile. Sulla struttura letteraria, sulle forme e le idee – come le si presentavano in occasione della realizzazione di ogni suo libro. Vi sono presenti, così, sperimentazioni ed esercizi sullo scrivere [e il ri-scrivere]. Numerosi anche gli spunti critici e i commenti, spesso anche molto taglienti, sui libri altrui che stava leggendo.
Nell’insieme davvero un tesoro prezioso, come un rivelarsi del suo metodo. Una luce sulla sua iconica – sintesi di arte e vita.
Da
Virginia Woolf, Diario di una scrittrice (Minimum fax, 2015)
p. 14-15
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Mercoledì, 7 agosto
Il diario di Asheham assorbe tutte le mie meticolose osservazioni su fiori, nuvole, coleotteri e prezzo delle uova; e poiché sono sola, non ho altri eventi da annotare. Come tragedia abbiamo avuto un bruco schiacciato; come emozione il ritorno, ieri sera, della domestica da Lewes, carica di tutti i libri di guerra di L., più la rivista inglese per me, con l’articolo di Brailsford sulla Lega delle Nazioni e la novella «Felicità» di Katherine Mansfield. Ho buttato via «Felicità» al grido di: «È rovinata!» Davvero non so quale fiducia in lei, come donna e come scrittrice, potrebbe sopravvivere a questo genere di racconto. Temo di dover accettare il fatto che la sua mente è un terreno sottile, steso per uno spessore di appena quattro o cinque centimetri sopra la nuda roccia. Perché «Felicità» è abbastanza lungo da offrirle l’occasione di andare più a fondo. Invece lei si accontenta di un’eleganza superficiale; e l’intera visione è povera, facile; non è la visione, sia pure imperfetta, di un cervello interessante. Per di più, scrive male. E l’effetto è stato, come dicevo, l’impressione della sua insensibilità, della sua durezza come essere umano. Certo la rileggerò; ma non credo che cambierò idea. Continuerà a scrivere cose del genere, con soddisfazione sua e di Murry. Ora sono contenta che non siano venuti. O è assurdo ricavare tutta questa critica, di lei come persona, da un racconto?
Comunque sono stata molto contenta di andare avanti col mio Byron: lui almeno ha le virtù virili. In effetti mi diverte notare con quanta facilità riesco a immaginare l’effetto che faceva alle donne, specialmente quelle stupide o incolte, incapaci di tenergli testa. E quante, per di più, volevano redimerlo! Fin dalla più tenera età (direbbe Gertler, come se questo facesse di lui un essere eccezionale) avevo l’abitudine di riempirmi la testa di qualche biografia e di voler ricostruire la mia immagine mentale di quella persona con ogni frammento di notizia che riuscivo a scovare. Finché durava la passione, il nome di Cowper, o di Byron, o di chi altro fosse, pareva saltar fuori dalle pagine più inverosimili. E poi, di colpo, la figura si allontana; uno dei soliti morti, nulla più.
Mi ha colpito molto il fatto che la poesia di B. sia così scadente; passi che Moore cita con un’ammirazione addirittura inarticolata. Come hanno potuto ritenere questa robetta da album il più alto fuoco della poesia? Poco meglio, a leggersi, di L.E.L. o di Ella Wheeler Wilcox. E così lo dissuasero dal fare ciò che sapeva di poter fare, cioè scrivere satire. Era tornato dall’Oriente con la valigia piena di satire (parodie di Orazio) e col Giovane Aroldo. Era persuaso che il Giovane Aroldo fosse il più bel poema che fosse mai stato scritto. Ma da giovane non credette mai alla sua poesia; e questa è la prova, in una persona così fiduciosa e dogmatica, che non aveva il dono. I Wordsworth e i Keats ci credono, come credono in ogni altra cosa. Spesso, nel suo carattere, qualcosa mi ricorda un poco Rupert Brooke anche se questo va a scapito di Rupert. In ogni modo Byron aveva una forza superba; lo provano le sue lettere. Sotto molti aspetti aveva anche un bellissimo carattere; anche se, dato che nessuno rideva delle sue pose fino a fargli perdere il vizio, divenne più simile a Horace Cole di quanto fosse opportuno.
Una donna poteva solo ridere di lui; e invece lo adoravano. Non sono ancora arrivata a lady Byron, ma credo che invece di ridere si limitasse a disapprovare. E così lui diventò byroniano.
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Virginia Woolf, Diario di una scrittrice. Traduzione di Giuliana De Carlo. Introduzione di Leonard Woolf (Minimum fax, 2015)
Virginia Woolf, scrittrice inglese (n. Londra 1882 – m. suicida nel fiume Ouse 1941). Prestigiosa rappresentante del Bloomsbury Group, fu scrittrice, saggista e critica di forte personalità, che emerse anche nel suo impegno libertario e a volte fuori dagli schemi a favore dei diritti civili e della parità tra i sessi. Tra le sue opere Mrs. Dalloway (1925; trad. it. 1946) e To the lighthouse (1927; trad. it. 1934) sono forse i suoi capolavori.
da Enciclopedia Treccani online
la biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/virginia-woolf/

