ALTRA SAGGISTICA

Guido Ceronetti – il Libro di Giobbe. Tradurre le imprecazioni dell’amore

Tradurre un testo dall’ebraico veterotestamentario, per riportarlo fino a noi. Per restituirne lo spirito, al di là della lettera, l’incommensurabile forza. Questo Ceronetti fa, nella sua traduzione, anche col libro di Giobbe. Una voce da lontano, richiamata, si fa prossima, si fa interiore, fino a divenire lui quella voce, usando “le parole della vita”. “Così accade che invece di scrivere di Giobbe, Ceronetti imprechi come Giobbe.”

La prima versione del libro (edizione Adelphi) con il commento di Ceronetti fu pubblicata nel ’72. Qui ne riportiamo la breve sinossi. E poi, a seguire un breve scritto [preziosissimo] immediatamente successivo alla pubblicazione e contenente, così come afferma Roberto Calasso: “le parole scritte dall’autore stesso, invitato a considerarsi in prospettiva”. Questo secondo testo si trova in Adelphiana 1963-2013.

dalla sinossi

Il libro di Giobbe. Versione e commento di Guido Ceronetti (Adelphi, 1972, 7ª Ediz)

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Tutti sanno che Giobbe, «uomo di perfetta purità», fu colpito da sventure e, infine, ulcerato nel corpo dal Male, circondato da tre amici, si rivolse al Signore per chiedere ragione delle sue sofferenze. «Iob dice che i buoni non vivono e che Dio li fa ingiustamente morire. Gli amici di Iob dicono che i cattivi non vivono e che Dio li fa giustamente morire». Lo scandaloso processo che Giobbe, il giusto, osa intentare al Signore è una immensa pietra d’inciampo che è fatale incontrare e che ogni lettura obbliga ad aggirare, con fatica e meraviglia. Guido Ceronetti, con la sua versione e il suo commento, ha cercato, nell’oscurità e nell’enigma, di offrire in tutta la loro forza oscurità e enigmi, perché questo testo, che nessuna ragione potrà mai accettare, appaia nuovamente inaccettabile, arricchito dalla scomparsa di quelle tante mitigazioni esegetiche nelle quali secoli di devozione e di empietà lo hanno avvolto. Testo principe sul male, Il Libro di Giobbe ci rassicura che il male non è quella burocratica ‘privazione del bene’ a cui teologi grandissimi lo hanno voluto ridurre, ma inarrestabile ruota del mondo; che vera offesa recano innanzitutto gli zelanti, in quanto hanno la risibile pretensione di bonificare l’esistenza, e con ciò portano morte; che «la salvezza del bene è edificante, quella del male essenziale».

Ma innumerevoli sono le maschere del testo sacro, e l’inflessibile manifestarsi della necessità del Male si congiunge – è uno dei segreti del Libro di Giobbe – con l’affermazione assoluta del possesso di Dio presente. Così l’accusato Dio, a cui Giobbe può rivolgersi col suo tu brutale (di una brutalità quale forse nessun’altra religione che l’ebraica ha tollerato) grazie soltanto alla grandiosa finzione di essere l’Odiatissimo-Amatissimo, speciale oggetto, per assurdo, della potenza divina e perciò specchio della sua divina doppiezza – l’accusato Dio, quando alla fine del Libro, dopo i discorsi di Giobbe e dei suoi amici spaventati dall’audacia del sofferente, prenderà la parola, non risponderà con spiegazioni pacificanti, ma congiungerà di nuovo violenza a violenza, come amore a amore, evocando l’immagine dei suoi mostri, Behemòt e Leviatàn, che toglie a Giobbe la parola e gli fa sentire la presenza della perpetua testimone di questo perpetuo processo, Hokhmah, la Sapienza.

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da

Adelphiana 1963-2013 (Adelphi, 2013)

pp. 128-130

Il Libro di Giobbe

Guido Ceronetti

Nel libro di Giobbe, i versetti che dicono, come più brutalmente non si potrebbe, la condizione umana storpidita dalla sua sempiterna Maya sviatrice, sono moltissimi. Due, prima di cominciare per Adelphi la versione dell’intero testo, li ricordavo dalla lettura d’adolescenza dell’edizione del Carabba di Lanciano. Perduto il volume, evoco qui la versione da me curata ( lob 14, J 9) :

Come l’acqua scava la pietra
E l’alluvione devasta il suolo
Così tu schianti
La speranza dell’uomo

È gloria dei dottori massoreti non aver lasciato fuori del canone biblico una simile collezione di bestemmie contro il Dio unico della loro anomala tradizione. (Una fede, la nostra, che nessuno capisce, diceva il rabbino Della Pergola che mi dava i primi rudimenti di ebraico in

un’auletta della sinagoga di Torino). Lo stesso fatalismo che ha impregnato l’Oriente è rigettato

dal madornale blasfematore. Noo! C’è un colpevole ed è lo stesso Dio che Iob ama sopra ogni cosa. Medita 19, 6:

Il colpevole che ho io qua dentro
La rete che mi soffoca è Dio


Segue la carica liberata di tritolo di 19,7, un ululato in uguagliato
nei fiordi della poesia:


Violenza-a-a-a-a io grido
E nessuno risponde
Mi appello-o-o-o-o
E il Giudice niente

Di questo combattimento (tra il Giusto e i’EL, tra Giobbe e il Signore YHWH, in ultimo tra Israele e il suo Dio inassociabile e insocievole) col mio lavoro di traduttore sono stato uno spettatore appassionato, ma non torturato dalla stessa fede rabbiosamente totale del martire Iob, babilonese prima di essere catturato nell’epica biblica; mi ritengo un mistico della lingua, un templario della parola, ma non potrei convertirmi ad un coro che per estro musicale, e pensando al Gesang ist Dasein di Rilke. I versetti del diciannovesimo di Giobbe li ho urlati per una decina di giorni nella chiesa deserta del paesino ligure di Borgio, via via senza bisogno quasi di guardare al testo ebraico della Bibbia stuttgartense fedelmente accompagnante. A sera, modificavo il testo italiano secondo l’esito dei forti rimbombi. Ho fatto lo stesso lavoro con la voce, come fossi un allievo del Roy Hart Theatre, anche per il terzo capitolo, quello che Jonathan Swift recitava ad ogni suo compleanno.

Raccomando al lettore che il testo calamiti di non trascurare le finali scarse pagine di Note per una messinscena del Sefer Iob; il teatro di domani, dove capiti, anche on the road, è il luogo del suo destino.

Adelphiana 1963-2013 (Adelphi, 2013)

Guido Ceronetti, scrittore, drammaturgo e marionettista italiano (Torino 1927 – Cetona 2018). Noto soprattutto per gli inconsueti elzeviri (su La Stampa di Torino), in cui rivendica i diritti della letteratura sulla cronaca e denuncia con estrema coerenza i segni di un progressivo imbarbarimento, in relazione a questo impegno di intransigente e colto moralista vanno intese le sue poesie (pubblicate in più volumi dal 1968 e poi riunite in Compassioni e disperazioniTutte le poesie 1946-1986, 1987), tra l’altro strettamente dipendenti da una attività di traduttore molto selettiva (Marziale, Catullo, Giovenale e, dalla Bibbia: Ecclesiaste, Cantico dei cantici, Giobbe, Isaia, Salmi). 

Da Enciclopedia Treccani online

la biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/guido-ceronetti/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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