CRITICA

La poesia, il detrito, la morte. Verso un altro percorso poetico

Affrontiamo, qui adesso, un altro percorso battuto in poesia, soprattutto dal Novecento in poi.

Si tratta di un aspetto decisivo per comprendere il nuovo orientamento poetico e il relativo cambio di registro. E questo è anche il tema [il secondo di otto] affrontato da Romano Luperini, Pietro Cataldi, Floriana D’Amely, nell’opera da loro curata Poeti italiani: il Novecento (Palumbo Editore, 1994). Un’antologia ricchissima di spunti e percorsi per approfondire la storia della poesia contemporanea.

In questo secondo percorso, quindi, viene posta in luce una nuova sensibilità e un nuovo atteggiamento che sembra portare molti poeti e la loro opera a un rinnovato rapporto con il “detrito” e con la “morte”.

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Poeti italiani: il Novecento, di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Floriana D’Amely (Palumbo Editore, 1994)

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LA POESIA, IL DETRITO, LA MORTE

Un altro percorso all’interno di uno stesso capitolo (ma con sconfinamenti possibili in altri) può essere quello dell’identificazione della poesia con il mondo della morte e con la realtà del detrito, dello scarto, del desueto. Nell’epoca moderna, infatti, la poesia non si riconosce più in alcuno scopo positivo o costruttivo e tende dunque a identificarsi in ciò che è morto, o è stato abbandonato, o appare superfluo e negletto, e magari a trovare così una nuova ragione di sopravvivere.

All’origine di questo tema c’è Pascoli, per il quale il mondo della famiglia e dei morti tende a coincidere con quello della poesia (vedi X Agosto e I gattici). E, subito dopo, Gozzano, con la sua preferenza per oggetti desueti e cose di «pessimo gusto». Ma è soprattutto nel corso del Novecento che questo tema viene rielaborato in modo da sottrargli la dimensione patetico-autobiografica, che conserva in Pascoli, e accentuare invece l’aspetto di riflessione sullo statuto stesso della poesia, sulla sua difficile sopravvivenza o addirittura sulla sua già registrata scom-parsa.

Si può seguire questa linea di ricerca restando all’interno di un unico capitolo, il 5 della Parte seconda. Si può collegare la coscienza montaliana dell’impossibilità di fornire con la sua poesia un messaggio positivo agli altri uomini (vedi «Non chiederci la parola». « Codesto solo oggi possiamo dirti: / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo») al titolo del primo libro del poeta (Ossi di seppia: il titolo indica dei detriti, quasi a identificare in essi i versi stessi dell’autore; e il titolo originario era: Rottami). Montale affronta anche apertamente la prospettiva della morte della poesia in Il gallo cedrone immaginandone una sua possibile rinascita sotto terra e nel fan-go e a prezzo, dunque, di una desublimazione e di un abbassamento. È questo il tema anche dell’Anguilla, ove si ipotizza la sopravvivenza della poesia nel fango e nel deserto della società contemporanea.

Nella Bufera la difesa della poesia tende a coincidere con la difesa del mondo dei morti, visti come custodi di un passato positivo da contrapporre al presente (vedi L’arca). Ebbene, questo tema ritorna anche in Sereni: in La spiaggia ai morti è attribuito lo stesso compito vitale, e quasi profetico, che Montale attribuisce al «gallo cedrone» e all’«anguilla»: i morti «parleranno», l’«inesistenza » si farà «movimento e luce». Su questa linea è da leggere anche Così siamo di Zanzotto, ove la disgregazione della morte è concepita come una possibilità di riavvicinamento vitale del defunto al vivo.

Da questo punto di vista Sereni e Zanzotto si collocano proprio nel solco dell’eredità montaliana. Sono da vedersi, su questi temi, i libri di G. Lonardi, /Il vecchio e il giovane e altri studi montaliani, Zanichelli, Bologna 1980, di P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a Montale, Feltrinelli, Milano 1975 e, dello stesso autore, La tradizione del Novecento. Serie seconda, Vallecchi, Firenze 1986 e di R. Luperini, Montale o l’identità negata, Liguori, Napoli 1984 (il capitolo primo). Fondamentali sono soprattutto gli scritti di Zanzotto sulla tematica del detrito in Montale ora riuniti in A. Zanzotto, Fantasie di avvicinamento, Mondadori, Milano 1991. Sulla tematica del detrito e dello scarto, si può leggere il bel libro di F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Einaudi, Torino 1993.

Poeti italiani: il Novecento, di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Floriana D’Amely (Palumbo Editore, 1994)

bottle – foto di Carlos Ibáñez su pixabay

Romano Luperini, critico letterario e scrittore italiano (n. Lucca 1940). Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Siena e  professore aggiunto all’Università di Toronto, dirige le riviste di teoria e di critica letteraria Allegoria e Moderna

da Enciclopedia Treccani online

la biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/romano-luperini/

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lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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