CRITICA

Valerio Magrelli: “Ora serrata retinae”. Dal trauma, l’opera più grande

Riccardo Donati, qui, col suo breve contributo, introduce davvero il lettore nella poetica articolata di Vittorio Magrelli, uno dei principali poeti della contemporaneità.

Gli scenari culturali e filosofici nei quali si colloca la ricerca di Magrelli, infatti, sono particolarmente ricchi e complessi. Per questo “l’ampiezza e la densità” del suo progetto autoriale, così unico, dovrebbe essere letta anche alla luce del suo contesto storico-letterario.

Ma quello che di più stupisce, e per prima cosa, è il fatto che il nostro sia riuscito, ad appena 17 anni, nell’impresa di pensare e poi realizzare, in così breve tempo, un’opera così profonda e complessa, Ora serrata retinae, connotandola anche intellettualmente in modo esemplare, considerando, appunto, anche la sua giovanissima età.

Va sottolineato comunque che la molla per la riuscita di questa impresa artistica, come spesso succede – e questo Donati lo sottolinea con forza –, sarà proprio un trauma personale, conseguenza di un incidente stradale. “Un’esperienza forte”, quindi, un accidente, però “accolto e gestito” con padronanza da Magrelli, tanto da poter essere finalizzato, con intelligenza mirabile, verso un “fare” della propria vita la migliore opera d’arte.

Letteratura italiana contemporanea, Narrativa e poesia dal Novecento a oggi, A cura di Beatrice Manetti e Massimiliano Tortora (Carocci, 2022)

da pp. 389-393

Ora serrata retinae di Valerio Magrelli

di Riccardo Donati

.

Gli esordi di Valerio Magrelli sono legati a un evento traumatico: un terribile incidente motociclistico occorsogli nell’estate del 1974. Nei mesi trascorsi in un letto di ospedale, l’allora diciassettenne Magrelli si trova costretto a un crudo, scioccante confronto con i frustranti limiti del corpo. Approfittando di quel periodo di forzata inazione, intraprende un lungo viaggio intellettuale esplorando le regioni della letteratura (il Novecento francese), della filosofia (la fenomenologia della percezione), dell’arte (le avanguardie europee), con un occhio rivolto alla controcultura giovanile dell’epoca, dalla fotografìa all’architettura, dal fumetto alla musica. Contemporaneamente, inizia a stendere i suoi primi versi.

È dunque sotto il segno di queste due esperienze esemplari – il confronto precoce e brutale con gli aspetti del biologico-fisiologici sapersi-corpo-, il libero combinarsi di disparate suggestioni culturali solo in minima parte riconducibili alla tradizione lirica nazionale che la poesia di Magrelli nasce e s’impone come un dirompente elemento di novità nel panorama delle lettere italiane. Il tema clinico in particolare, al quale possono averlo avvicinato anche altri elementi biografici, tra cui la professione medica della madre, attraverserà tutta la sua opera, in versi e non, dai testi d esordio alle prose di Nel condominio di carne (2003), «vero e proprio atlante anatomopatologico» (Cortellessa, 2006a, p. 70), recante in copertina una radiografia dello scrittore, quasi un autoritratto in veste di paziente, fino alle prove più recenti.

Nei suoi tratti essenziali, quella di Magrelli si presenta come un’opera segnata da un percorso di riflessione sul sé e sul mondo profondamente ancorato alla datità fenomenica dell’esistente, a partire, appunto, dall’osservatorio privilegiato del proprio corpo, colto nella sua nuda oggettività, in assenza di ogni riferimento a una dimensione trascendentale: «A volte mi scopro nel silenzio / delle cose che ho intorno, / oggetto tra gli oggetti, / popolato di oggetti» (Magrelli, 2018, p. 34). Il rischio che tale confronto con i dati del reale si risolva in un’analisi fredda e distaccata e costantemente scongiurato da una viscerale adesione alla materialità del vivere, una sorta di sentimento della carnalità alimentato da emozioni culturali disparate, quali la filosofia fenomenologica (Maurice Merleau-Ponty), certa pittura crudamente esistenzialista (Francis Bacon), alcuni esiti del romanzo fantascientifico (J. G. Ballard).

Occorre altresì sottolineare la natura ricca e multiforme di un percorso autoriale nel quale non è dato trovare ripetizioni e che anzi si è andato costantemente trasformando nel corso del tempo, cosicché la scrittura in versi si e progressivamente aperta alle esperienze della prosa, del teatro, del pamphlet, del saggio con elementi autobiografici.

Elaborata nel corso degli anni Settanta e data alle stampe nel 1980, Ora serrata retinae, la prima raccolta poetica di Magrelli, è considerata un momento di svolta nella storia della poesia italiana del Novecento, sia per le novità retorico-stilistiche che introduce, sia per i temi affrontati e il tono prescelto. L’estrema originalità della scrittura razionale del giovane poeta, avversa a ogni slancio effusivo e contraddistinta semmai da un «lirismo argomentativo» (Testa, 2005, p. 357) asciutto, geometrico e di impronta fortemente gnoseologica, ricevette il plauso inmediato, oltre che della critica, di autorevoli figure artistiche delle venerazioni precedenti, da Federico Fellini a Italo Calvino.

Il nome del l’esordio di Magrelli coincide con l’ultima fase dell’opera calviniana, quella più descrittiva, analitica, affascinata dall’utopia di una cristallina leggibilità del reale e dalla riflessione sui meccanismi fondamentali che presiedono al lavoro della scrittura.

A dominare in Ora serrata retinae è l’idea della conoscenza come visione, esplicitata sin dal titolo: una formula latina che nella terminologia oculistica indica il margine frastagliato della retina (ora) ossia la linea al di qua della quale l’occhio risulta percettivo.

E a una precisa geografia dell’occhio si ispirano anche i titoli delle due sezioni di cui il volume simmetricamente si compone, Rima palpebralis (rima è l’apertura o fessura della palpebra, ma è chiara anche l’allusione poetica) e Aequator lentis (aequatorindica la circonvoluzione completa della lente del cristallino), ciascuna composta da un identico numero di liriche, così da riprodurre a livello di macrostruttura un profondo sentimento di duplicità: «dietro di me ci sono io, bifronte, / curvo sullo specchio del pensiero» (Magrelli, 2018, p. 38).

Tale postura dell’io lirico, intento a contemplarsi nel proprio riflesso, conferma l’intuizione critica di Andrea Cortellessa secondo cui Narciso rappresenterebbe il vero «nume tutelare» della raccolta (Cortellessa,2006 a, p. 70). Non si tratta tuttavia di un Narciso edonista e autocompiaciuto, bensì di un soggetto intento a studiarsi, a valutarsi quanto più oggettivamente e metodicamente possibile, «di un io che, cosa tra le cose, si guarda fenomenologicamente, si frantuma con metodo e pazienza, si notomizza insieme al resto del mondo» (Bello Minciacchi, 2005, p. 269). La parola “studio” non a caso figura nel titolo Questo studio è in realtà soltanto, un metacomponimento che invita a leggere l’intera raccolta come una distaccata riflessione su rapporto mente-corpo-mondo, quasi che ogni frammento lirico rappresentasse una diversa tappa di una lunga indagine anamnestica – o le pagine di un diario di scavo, le carte sinottiche di un rilevamento meteorologico — condotta sulla natura del sé.

«Per il lavoro di Magrelli la critica ha parlato di una scrittura del riconoscimento” (Lisa, 2004), di una poesia concepita come “ricognizione” (Inglese, 2004), in cui l’io, testo dopo testo, si scompone nelle cose, si fa anzi cosa esso stesso: «l’individuo di Ora serrata retinae è il punto mediano delle cose, nel quale esse sfociano e in cui esso si dilata» (Lisa, 2004, p. 41). Ecco allora perché il “vedersi vedersi” caratteristico della poesia di Magrelli prevede tecniche di autoscopia che inducono la mente a identificarsi con il corpo, e, viceversa, le membra a riconoscersi come materia pensante.

Inoltre, il paesaggio anatomico è visto alla stregua di un territorio speculare alla superficie terrestre, al punto che il poeta, mosso da una vera e propria «vocazione cartografica» (Bonito, 1996, p. 90), finisce per assimilare il proprio organismo a una regione abitata da presenze misteriose: «Così, / mi sento quasi una terra abbandonata, / su cui di sera quietamente passeggiano / uomini ed animali» (Magrelli, 2018, p. 21). L idea del sé-paesaggio, del sé-mappa, attiva poi la metafora del viaggio come perlustrazione interiore: così nella silloge la mente e le viscere risultano continuamente solcati da oscuri sentieri e rapinosi corsi d acqua, itinerari d’un percorso di esplorazione «che porta l’essere a se stesso» (ivi, p. 35). Pur legata a modelli filosofici di stampo razionalistico e ispirata a paradigmi scientifici, la poesia di Magrelli si sottrae al rischio di una semplificazione mentale dell’universo psichico: e ben lo dimostrano i tanti testi notturni, al confine tra sonno e veglia, sparsi nella raccolta, al pari di quelli dedicati ai difetti della vista che rendono sfuocata e incerta la percezione del mondo esterno. Testi che si presentano spesso come impeccabili congegni formali, salvo poi svelare che il meccanismo è di continuo inceppato da disfunzioni, eccedenze di senso, complicazioni ritmiche.

Le liriche di Ora serrata retinae presentano una scrittura densamente analogico-metaforica, una sintassi cristallina e compatta, un vocabolario tanto essenziale quanto esatto. Magrelli opta per un italiano medio standard, evitando termini preziosi o indeterminati ma ricorrendo volentieri ai linguaggi tecnici (medico, nautico, architettonico, astronomico). Ritmo e immagini risultano accortamente maneggiati per restituire una precisa fenomenologia del sapersi-corpo. Lo «sguardo sillabico» (Lorenzini, 1991, p. 207) del poeta romano produce testi monostrofici caratterizzati da una partitura metrico-sintattica calibratissima e da strutture estremamente regolari, spesso tendenti alla simmetria, frutto di una vera e propria passione geometrica, come nel caso di Io abito il mio cervello-.

Io abito il mio cervello
come un tranquillo possidente le sue terre.
Per tutto il giorno il mio lavoro
è nel farle fruttare,
il mio frutto nel farle lavorare.
E prima di dormire
mi affaccio a guardarle
con il pudore dell’uomo per la sua immagine.
Il mio cervello abita in me
come un tranquillo possidente le sue terre


(Magrelli, 2018, p. 34).

All’interno di un’architettura versale perfettamente bilanciata, con due distici regolari in apertura e chiusura, si osservano rovesciamenti a chiasmo nei w.1 e 9, 3-5, mentre il v. 2 si ripete identico in explicit.

Si tratta di un «endecasillabo con due sillabe sovrannumerarie iniziali», «a dar senso di stabilità e maîtrise desoi al verso, poggiante su una canonica successione di accenti» (Stroppa, 2012, p. 66). Parimenti peculiare di Ora serrata retinae è il procedere del periodo per distici o teistici (si vedano qui i w. 1-2; 9-10 e 3-5; 6-8), che conferisce una scansione piana e un valore definitorio, sentenzioso a un componimento poggiante su un equilibrato «nesso di perspicuità ed eleganza» (Afribo, p. 41). E tuttavia, non diversamente da quel che accade ad esempio nel cinema di Kubrick, la perfezione d una forma cosi cristallinamente impaginata invece di nascondere un inquietudine di fondo finisce per farla affiorare. A ragione la critica ha parlato, per Magrelli, di uno spossessamento, di un esproprio di sé da sé che impedisce al poeta di restituire un’immagine in ultima istanza armonica e consolatoria del rapporto tra io e mondo.

Riccardo Donati, Ora serrata retinae di Valerio Magrelli, in: Letteratura italiana contemporanea, Narrativa e poesia dal Novecento a oggi, A cura di Beatrice Manetti e Massimiliano Tortora. (Carocci, 2022).

foto di lwal_172619 su pixabay

Vittorio Magrelli – poeta e critico letterario italiano (n. Roma 1957). La prima raccolta di versi, Ora serrata retinae (1980), lo ha imposto come poeta profondo e riflessivo e insieme lieve e ironico. Con la raccolta successiva, Nature e venature (1987), ha vinto il premio Viareggio. A queste sono seguite Esercizi di tiptologia (1992), Didascalie per la lettura di un giornale (1999), Disturbi del sistema binario (2006), che hanno confermato la sensibilità di M. nel rendere liricamente la condizione contemporanea. Nel 2003 ha esordito come narratore con Nel condominio di carne, originale autoritratto in cui la parola viene ceduta direttamente al corpo. Prof. di letteratura francese all’univ. di Pisa e traduttore, M. ha assunto nel 1993 la direzione della serie trilingue della collana Einaudi “Scrittori tradotti da scrittori”, ottenendo dal presidente della Repubblica il Premio nazionale per la traduzione (1996). 

da Enciclopedia Treccani online

la biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/valerio-magrelli/

Riccardo Donati (1978) è Docente a contratto dell’Università di Firenze. I suoi studi vertono principalmente sulla letteratura italiana ed europea tra Sette e Novecento; tra le pubblicazioni più recenti ricordiamo I veleni delle coscienze. Letture novecentesche del secolo dei Lumi (2010) e Le ragioni di un pessimista. Bernard Mandeville e la cultura dei Lumi (2011). Nel 2013 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attributo il Premio Giuseppe Borgia per i suoi contributi critici sulla poesia contemporanea.
 

articoli collegati: https://ilcipressobianco.it/vittorio-magrelli-da-ora-serrata-retinae/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

Lascia una risposta