DIALOGHI

Il silenzio e l’ascolto. Conversazione con Raimon Panikkar. Un libro di Franco Battiato

Con la sua vasta cultura umanistica e scientifica, veicolata da una profonda visione, tra filosofia e spiritualità, eco di tradizioni ricchissime e di mondi ai confini dello spazio-tempo – Raimon Panikkar [accompagnato da Franco Battiato], fa riemergere alcuni temi centrali del suo pensiero.

Il Logos come centro dell’essere, la dimensione unitaria e al contempo triadica di Dio-uomo-mondo [l’intuizione “cosmoteandrica”], la dimensione del sacro simboleggiata dalla forma del cerchio, quindi l’incontro tra il tempo e il non-tempo, [la “tempiternità”]. E poi, su tutto, l’unione, profondissima e misteriosa, tra conoscenza e amore.

Da Franco Battiato, Il silenzio e l’ascolto. Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi (Castelvecchi 2021), pp. 7-11

PANIKKAR: «L’uomo? È qualcosa di più di un animale razionale. A parte il fatto che questa locuzione, “animale razionale”, è una traduzione errata di una definizione geniale formulata da Aristotele, il quale ha scritto che l’uomo è “quell’essere vivente in cui il logos transita, passa attraverso”. L’uomo è come “preso” da questo logos, che è divino. Nella vita quotidiana di noi uomini manca molto la profondità, siamo talmente distratti dai mille gadget della tecnologia… Ebbene, se c’è un compito che spetta alle religioni è quello di andare in profondità! Io sono sì divenuto anche qualcos’altro, è vero, ma non ho mai smesso di essere cattolico, perché penso che oggi essere religiosi significhi soprattutto non essere settari. Le varie “religioni” non hanno il monopolio dell’unica vera religione, la quale è quanto ci lega e ci slega dalla realtà».

BATTIATO: «Oggi esistono dei gruppi di individui, molto circoscritti, composti da scienziati o ricercatori o mistici, che con i loro studi e le loro esperienze stanno realizzando qualcosa di meraviglioso. Dall’altra parte, però, vi è un’enorme quantità di persone che si trova, diciamo così, nel dominio delle tenebre, e porta avanti una sorta di orgoglio dell’ignoranza…».

PANIKKAR: «Sono ignoranti ma non sanno di esserlo… Gli manca un passaggio! Altro è ciò di cui parla un padre della Chiesa del IV secolo, Evagrio Pontico, il quale diceva: “Beati quelli che approdano all’ignoranza infinita…”. Quello, infatti, è un caso in cui ti trovi davanti al mistero e hai coscienza di non poterlo giudicare. Sei consapevole di conoscere soltanto una parte infinitesimale della realtà, di non poter ricavare la metafisica dalla fisica. Che è poi il grande errore commesso da tanti filosofi della scienza, i quali, poiché conoscono la scienza, si illudono di poterne estrapolare l’intelligenza di Dio. Il passaggio dalla fisica alla metafisica equivale al passaggio dalla razionalità alla meta-razionalità, è l’approdo alla metànoia, al rinnovamento della mente e del cuore. L’amore, del resto, non è intelligibile».

BATTIATO: «La fisica non lo può studiare, questo è certo».

PANIKKAR: «Il mondo contemporaneo è segnato da questo grande divorzio tra conoscenza e amore. L’amore senza conoscenza può durare per due mesi, poi arriva la separazione. La conoscenza senza amore è calcolo, non è vera conoscenza, manca il rapporto di intimità e di prossimità con la cosa conosciuta. “Connaître ensemble”, diceva Paul Valéry: conoscere insieme…».

BATTIATO: «Una volta ho letto questa frase: “Per alcuni Dio appartiene principalmente al passato, per altri al futuro e, per quelli che vengono detti mistici, il divino è primordialmente presente”».

PANIKKAR: «Il primo commento che mi viene da fare è di natura filosofica. Se il passato è passato, lo è solo rispetto al presente. Io dico “passato” appunto perché lo dico adesso, il passato non è che un ricordo nel presente. In sé, il passato in quanto passato non esiste. E lo stesso vale per il futuro: neppure il futuro, in quanto futuro, esiste. La nostra “tragedia” è essere sempre di passaggio e non fermarci nel presente, non godere il presente. Io, a questo proposito, ho anche inventato una “parolaccia”: tempiternità. Pensare che l’eternità venga dopo il tempo è, filosoficamente parlando, un’aberrazione. Se è eternità, è eternità: cioè non è temporale. L’eternità non viene dopo il tempo. Cogliere i momenti tempiterni in ogni istante è la chiave della felicità. Se io so che sono mortale, come posso consolarmi per il fatto che vivrò ottant’anni oppure di più? Tutto ciò è puramente accidentale! Ciò che devo fare è approfittare di questo singolo, preciso momento, che è unico. Sono chiamato ad avere consapevolezza dell’unicità. C’è un salmo latino, situabile all’interno di quel monoteismo giudeo-cristiano in cui ci sono le mie radici, che ancora mi emoziona: “Miserere mei, Domine”, abbi misericordia di me, o Signore. Perché sono povero, pauper sum. Chi è orgoglioso non è neppure intelligente, non ci sono dubbi su questo, ma il salmo, attenzione, aggiunge: “Quia pauper sum et unicus”. Sono povero, certo, ma sono anche unico. Dobbiamo scoprire lanostra unicità, avere contezza del fatto che ciò che dobbiamo fare noi nonsarà mai fatto da nessun altro: dunque se non lo facciamo si produrrà unasorta di buco nella realtà, per sempre. Ognuno di noi è unico, non siamonumeri. Prima dicevo che la conoscenza senza amore è calcolo: siamo sei miliardi di persone, sulla Terra, quindi può apparire ridicolo considerarsi importanti. Ma la verità è che ciascuno di noi è unico».

BATTIATO: «Parliamo del silenzio».

PANIKKAR: «Il silenzio ha direttamente a che fare con l’ascolto. Il silenzio non si può creare se non si sa ascoltare. Non è un atto puramente fisico, il saper ascoltare. Sapere inteso come sapida scienza, come conoscenza… Saper ascoltare la musica delle sfere, avrebbe detto Pitagora. Ma anche saper ascoltare le chiacchiere degli altri. Ascoltando trasformi quello che ascolti, perché vi è sempre un rapporto biunivoco. La prima cosa da fare per entrare nel silenzio è saper ascoltare. E, come in un circolo virtuoso, per saper ascoltare bisogna stare in silenzio. Se io convivo con una sorta di dialogo interiore che si muove ininterrottamente dentro di me…».

BATTIATO: «O con i continui pensieri…».

PANIKKAR: «Certo, è la stessa cosa… Bene, in questi casi posso solo ascoltare quel che ho dentro di me, senza potermi dedicare a ciò che sta al di fuori. In Occidente si è a lungo accreditata, da Platone fino a Cartesio, la dicotomia tra corpo e spirito, come se il corpo fosse una macchina o un mero strumento. Ma non è che io sia un’anima e, solo poi, ho un corpo. No, io sono il mio corpo. Pertanto, per poter entrare nel silenzio, devo saper stare zitto non solo con le parole ma anche con il corpo. Senza una certa immobilità del corpo non si può conseguire l’immobilità dello spirito. Uno dei grandi dogmi occidentali è quello della volontà: se fai una cosa, questa deve avere un fine. In sanscrito, invece, una parola che esprima il concetto di volontà neppure esiste. Ci manca una dimensione femminile, da intendersi come disponibilità all’accoglienza, come fiducia nello spirito. È un guaio questo voler sempre prendere l’iniziativa».

BATTIATO: «Lei ha scritto: “Un vecchio mandala potrebbe forse aiutarci a rappresentare simbolicamente l’intuizione cosmoteandrica: il cerchio. Non vi è cerchio senza un centro e una circonferenza. I tre non sono la stessa cosa eppure non sono separabili. La circonferenza non è il centro, ma senza questo non esisterebbe. Il cerchio, in se stesso invisibile, non è né la circonferenza né il centro, tuttavia è circoscritto dall’una e implica l’altro. Il centro non dipende dagli altri poiché è un punto senza dimensioni, eppure non sarebbe il centro (né nessun’altra cosa) senza gli altri due”…».

PANIKKAR: «Punto, raggio e circonferenza sono incommensurabili e quindi incomprensibili. Il pluralismo religioso, oggi, porta spesso a sostenere che – Dio o non Dio, buddismo o induismo – è tutto la stessa cosa. Non è propriamente così. Non tutto quanto è la medesima cosa: parliamo di entità incommensurabili che però appartengono tutte quante alla realtà. L’incommensurabilità, che sarebbe poi l’incomprensibilità, non significa che le cose non possano stare insieme armonicamente. Il punto cruciale è non vedere nell’altro il nemico, non vedere nell’altro una minaccia bensì una parte che io posso non comprendere – poiché è incommensurabile – ma che contribuisce all’armonia della realtà. In questo consiste la vera saggezza».

BATTIATO: «Che idea ha del male?».

PANIKKAR: «L’esistenza del male va accettata. Io non pretendo di capirlo, il male. Ne accetto l’esistenza, poiché è una cosa reale e svolge anche una straordinaria funzione rivelatrice. Per comprendere il male potrei andare da uno psicanalista, ma non lo capirei davvero neppure così. Cosa sia precisamente il male non posso spiegarlo, eppure esso è reale. E ci impartisce una grande lezione di realismo, di umiltà. Ci fa capire che non è possibile spiegare tutto. Quel che posso dire del male è che non mi piace».

BATTIATO: «Ogni luogo esercita un’influenza diversa: alcuni sono sacri, altri no…».

PANIKKAR: «Ho scoperto cosa sia la sacralità di un luogo in India, in certe moschee islamiche caratterizzate da una povertà totale: una parete, nessuna immagine… Andando là ti senti trasfigurato. Un luogo esercita davvero un’influenza, perché noi siamo anche esseri spaziali e lo spazio non è omogeneo. Lo spazio non è distanza tra i corpi, questa è un’autentica aberrazione! La distanza tra i corpi permette di avere una misura dello spazio ma lo spazio non è distanza. Siamo talmente abituati a questi concetti scientifici volgarizzati da pensare che distanza e spazio siano sovrapponibili… Lo spazio è un’altra cosa: io porto con me il mio spazio e vivo in uno spazio, e questo ha un’influenza diretta, sottile e direi anche femminile su di me. Su di noi. Ci sono spazi adeguati e altri che non lo sono. Un genio architettonico sa configurare lo spazio. Il garage non è uno spazio, il tempio invece è uno spazio. Il tempio infatti non si può edificare ovunque e con forme qualsiasi, e non ci si entra come in qualunque altro luogo. La sacralità è una categoria della vita umana e chi non è aperto a questo messaggio perde il gusto di vivere, non può essere felice».

Franco Battiato, Il silenzio e l’ascolto. Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi. A cura di Giuseppe Pollicelli (Castelvecchi 2021)

Raimon Panikkar (Barcellona, 2 novembre 1918 – Tavertet, 26 agosto 2010) è stato filosofo e teologo catalano (n. Barcellona 1918). Nato da madre cattolica e padre indù, P. ha conseguito titoli accademici in filosofia, scienze e teologia. Ordinato prete cattolico negli anni Quaranta, negli anni Cinquanta si è recato in India dove ha studiato filosofia e religioni indiane. Nei decenni successivi ha insegnato in varie università europee, indiane e nordamericane. Ha pubblicato circa quaranta monografie e 400 articoli accademici in vari ambiti e lingue ed è fra i maggiori rappresentanti del dialogo interreligioso e della filosofia delle religioni in genere. Raccontando in retrospettiva il proprio percorso, P. ha scritto: «Ho lasciato [l’Europa] da cristiano, mi sono scoperto indù, ritorno come buddista, pur non avendo mai cessato di essere cristiano.

La biografia completa Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/raimon-panikkar_(Dizionario-di-filosofia)/

lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

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