DIARI e LETTERE

Arthur Rimbaud – Corrispondenza. Non sono venuto qui per essere felice

Il fascino di un’inspiegabile rinuncia. A venti anni l’abbandono definitivo della poesia, nonostante questa fosse stata il suo immenso e travolgente primo amore. E questo accadde proprio a lui. Proprio a lui, che precocissimo aveva vissuto la sua straordinaria ispirazione come un’ascesi.

Questa sua scelta somigliante per la sua radicalità, anche se di segno opposto, a quella di altri poeti, per esempio, a quella di Clemente Rebora, il quale in età già matura abbandonò, sì, il mondo e la propria arte, ma per una una clausura religiosa.

Mentre Rimbaud, invece, soffocò il suo sacro fuoco, girando le spalle al proprio essere primitivo – consumando sé stesso e occultando il proprio genio – per discendere negli inferi del mondo. Tra i più banali e anche i più loschi commerci umani. Divenendo, fino in fondo, sempre più uguale a sé stesso, all”immenso poeta maledetto che, al di là di tutto, era sempre stato.

La lettera qui pubblicata è tra le prime della sua Corrispondenza e fu scritta da un Rimbaud ancora diciassettenne.

Arthur Rimbaud, Non sono venuto qui per essere felice. Corrispondenza (1870-1891), Vol.1, traduzione e cura di Vito Sorbello (Aragno, 2014)

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dalla Presentazione

Dopo aver dato prova di essere un grande poeta, a soli vent’anni Rimbaud gira le spalle alla letteratura per farsi prima avventuriero di lunghe erranze e poi trafficante di ogni cosa sulle rive del Mar Rosso. Questo abbandono della poesia per molti è rimasto un vero mistero. Un mistero che diventa scandalo quando si scopre ciò che Rimbaud della poesia voleva fare: un’esperienza fondamentale che implicava la totalità della vita e la totalità dell’essere.

Rinunciare alla poesia quando si è intravista in essa la possibilità di superare ogni limite, di andare all’estremo, di vedere oltre, di conoscere l’inconoscibile, vuol dire rinunciare alla possibilità di cambiare la vita e condannarsi alla banalità e alla mediocrità di una vita comune, limitando la vita alle sue immediate necessità. Ma questa rinuncia, e il silenzio che ne deriva, affascina per la sua ambiguità.

Se per un verso essa appare come un tradimento, un’infedeltà alla possibilità intravista, dall’altro si annuncia come momento superiore in cui la poesia si annette la sua assenza e si stabilisce sul suo rifiuto. Possiamo allora dire che il Rimbaud africano, esploratore avventizio e trafficante d’armi, non fa che perseguire, con altri mezzi e sotto altra forma, la stessa ricerca dell’ignoto del tempo degli splendori poetici. E la corrispondenza africana rivela a volte, sul piano della banalità della vita ordinaria, lo stesso tono secco, perentorio, ostinato, furioso della Saison en enfer o delle Illuminations.

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Corrispondenza

p. 34

RIMBAUD A THÉODORE DE BANVILLE

Charleville (Ardenne), li 24 maggio 1870

A M. Théodore de Banville

Caro Maestro,

siamo nei mesi dell’amore; ho diciassette anni [1]. L’età delle speranze e delle chimere, dicono, – ed ecco che, ragazzo sfiorato dalle dita della Musa, scusi se è banale – mi sono messo a dire la mia fiducia, le mie speranze, le mie sensazioni, tutte quelle cose dei poeti – che io chiamo primavera. Se le invio qualcuno dei miei versi, – tramite Alphonse Lemerre, il buon editore, – è che amo tutti i poeti, tutti i buoni Parnassiani, – ogni poeta è un Parnassiano, – innamorati della bellezza ideale; è che amo in lei, molto ingenuamente, un erede di Ronsard, un fratello dei nostri maestri del 1830, un vero romantico, un autentico poeta. Ecco perché. – È un po’ sciocco, non le pare, ma infine?… Fra due anni, forse un anno, sarò a Parigi. Anch’io, signori del giornale, sarò Parnassiano! – Sento in me qualcosa – non so bene cosa – che vuol salire… – Giuro, caro Maestro, di adorare sempre le due dee, la Musa e la Libertà. Non arricci troppo il naso, leggendo questi versi. Lei mi renderebbe pazzo di gioia e di speranza, se volesse far fare a Credo in unam un piccolo spazio tra i Parnassiani, entrerei nell’ultima serie del Parnasse: la cosa potrebbe essere il Credo dei poeti!… Ambizione! o folle!

Arthur Rimbaud

[1] Avendo appreso della pubblicazione di una seconda serie del «Parnasse contemporain», Rimbaud vorrebbe farne parte e scrive a Banville, maestro e guida della poesia parnassiana più di Leconte de Lisle, accludendo alla sua lettera Par les beaux soirs d’été (che diverrà Sensation in una versione ulteriore), Ophélie, Credo in unam. Banville rispose alla lettera di Rimbaud, ma la sua risposta è andata perduta. I poemi di Rimbaud non verranno pubblicati sul «Parnasse», la cui uscita fu ritardata a causa della guerra franco-prussiana. La lettera è stata riprodotta, assieme ad un frammento di Credo in unam, in M. COULON, Du Rimbaud inédit, in «Les Nouvelles littéraires», del 10 e 17 ottobre 1925.

Arthur Rimbaud, Non sono venuto qui per essere felice. Corrispondenza (1870-1891), Vol.1, traduzione e cura di Vito Sorbello (Aragno, 2014)

ARTHUR RIMBAUD (Charleville 1854 – Marsiglia 1891). Il ribelle, il maledetto, il brutale disgregatore della morale e della tradizione, la cui rivolta, espressa nella Lettre du Voyant, bene si inquadra nella corrente della nuova letteratura postromantica. Pubblica nel 1873 Une Saison en enfer e compone, tra questo stesso anno e il 1875, le Illuminations (pubblicate nel 1886 dall’amico Verlaine). Dal 1874 al 1879, abbandonata la poesia, Rimbaud vaga tra l’Europa e l’Asia, si impiega come capocantiere in una cava di pietre a Cipro. Nel 1880 si trasferisce come agente commerciale in Abissinia, dove trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita tra Aden e Harar. Poi, la malattia, il ritorno a Marsiglia, nel giugno del 1891, l’amputazione della gamba e la morte.

VITO SORBELLO, laureato a Catania in Filologia moderna, ha pubblicato Quaderni di Antonio Bruno (1989); La scelta necessaria. Biografia romanzata di un poeta di provincia (1990). Ha tradotto Il Mendicante ingrato di Léon Bloy (2000). Per la casa editrice Aragno ha tradotto e curato: Viaggio in Italia di Taine (2003), la corrispondenza tra Gustave Flaubert e George Sand, Fossili di un mondo a venire (2004), Gli Dei antichi di Mallarmé (2008); l’edizione integrale del Journal. Memorie di vita letteraria dei fratelli Goncourt (7 voll., 2007-2009); le Memorie di Talleyrand, principe di Benevento (5 voll, 2011); I Lunedì. Principesse, amanti, salonnières e muse galanti di Charles-Augustin de Sainte-Beuve (3 voll, 2013).

la biografia completa di Arthur Rimbaud Qui: https://www.treccani.it/enciclopedia/jean-nicolas-arthur-rimbaud/

immagine in evidenza: Arthur Rimbaud, ferito da Verlaine, convalescente in una pensione di Bruxelles, luglio 1873 – Autore: Jef Rosman (morto nel 1891) – Fonte: http://www.larousse.fr/encyclopedie/data/images/1002872-Jef_Rosman_Arthur_Rimbaud_bless%C3%A9.jpg

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lavora in biblioteca. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 - Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d'arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.